A una trentina di km a sud-ovest di Torino, a pochi metri dal bioparco Zoom, sorgono i capannoni che ospitano i circa 50.000 broiler di Cascina Felizia. Di come sia possibile questa serena convivenza ci ha parlato Roberto Pons, che insieme alla moglie Tiziana e ai suoi tre figli – in particolare Mattia, che ha studiato agraria – è riuscito a creare un allevamento intensivo che ha le sembianze di un parco naturalistico.
Cascina Felizia è stata fondata 60 anni fa e da allora ha vissuto molte vite diverse, una delle quali è iniziata quando Roberto e sua moglie Tiziana, stanchi di lavorare in strutture che andavano bene 50 anni fa ma che non sentivano più al passo con i tempi, si sono rivolti a un’azienda di Treviso che aveva la necessità di installare pannelli fotovoltaici e guardava interessata ai tetti dei capannoni di Cascina Felizia. Grazie a questa collaborazione, in poco tempo sono state bonificate e sistemate le vecchie strutture in amianto e in lana di roccia e sono stati installati i pannelli, con una parte in autoconsumo. I quattro capannoni che ospitano i circa 50.000 broiler (l’azienda è in soccida con Amadori, dove lavora anche Roberto in qualità di tecnico) oggi sono completamente ricoperti da pannelli fotovoltaici. “Abbiamo una produzione di 500 kW, a cui si aggiungono 25 kW di produzione privata in autoconsumo, che presto diventeranno 45 kW. Se guardi l’azienda dall’alto, vedi solo pannelli fotovoltaici”, ci spiega Roberto con una punta di fierezza.
Una seconda fase di trasformazione che ha vissuto Cascina Felizia è avvenuta con la pavimentazione dei primi 1500 metri quadri intorno all’azienda. Oltre a offrire ottime garanzie in termini di biosicurezza, “la pavimentazione in cemento armato elicotterato (altamente resistente all’uso, alle sollecitazioni, agli agenti chimici e microbiologici e alle abrasioni) mi è servita per dare una grande impronta di pulizia”, prosegue Roberto Pons. “Poi ci siamo dedicati all’interno e al benessere degli animali: abbiamo portato l’aria nei capannoni con la ventilazione forzata, abbiamo perfezionato la tipologia di gestione dell’allevamento, ci siamo assicurati di apportare migliorie continue e di rispettare tutti i nuovi standard necessari, richiesti dal periodo a cui andavamo incontro”.
La terza vita di Cascina Felizia inizia con un evento traumatico: nel 2017 uno dei capannoni prende fuoco a causa di un malfunzionamento dei pannelli fotovoltaici. “In otto minuti se ne sono andati completamente in fumo 1.000 metri quadri di capannone”, ricorda Roberto. “Una persona normale si sarebbe fatta prendere dalla disperazione, ma quando ho saputo che mia moglie e i miei figli stavano bene, a quel punto ero già impegnato a comprare il capannone nuovo e in nove mesi esatti abbiamo ricostruito tutto. Il nuovo capannone rispondeva ai massimi standard in termini di biosicurezza e di gestione dell’allevamento e lo abbiamo inaugurato con un evento di presentazione. Da quel giorno abbiamo potuto anche migliorare il funzionamento dei vecchi capannoni: anzi, la presenza di una struttura completamente nuova accanto alle altre in cui il sistema di produzione era già rodato, ci ha permesso di prendere il meglio da entrambi i metodi di produzione. Non è detto, infatti, che il vecchio sia da buttare: i vecchi e i nuovi sistemi possono dialogare tra loro, purché l’obiettivo sia quello di migliorare entrambi, in uno scambio proficuo tra passato e modernità”.
Il processo di miglioramento di Cascina Felizia non si ferma, perché Roberto Pons ha un obiettivo: calarsi nell’ecosistema, entrare a far parte del territorio avendone cura, mostrare che anche un allevamento intensivo può essere sostenibile. Quindi prosegue con la pavimentazione in cemento armato, in modo da garantire entrata e uscita a senso unico nel pieno rispetto delle misure di biosicurezza; realizza quello che chiama un “arco tridimensionale” per la disinfezione dei mezzi in entrata (un arco classico, a cui Roberto ha l’idea di aggiungere tre canaline a terra che riescono a disinfettare anche i punti morti), installa una centralina per il controllo della CO2, rivede il sistema di controllo alimentare. I riconoscimenti non tardano ad arrivare (nel 2017 e nel 2019 l’azienda è premiata come eccellenza del settore avicolo italiano) e la trasformazione, spiega Roberto, va avanti: “per anni, in avicoltura, abbiamo puntato a sistemare l’interno, dimenticandoci completamente dell’esterno. Secondo me invece è importante dare un’immagine di appartenenza al territorio. Per questo abbiamo sistemato il terreno intorno ai capannoni creando dei mini-parchi, con prato all’inglese su cui crescono salici ridenti, rose, ciliegi. Questi interventi non servono solo a rispettare l’ecosistema, ma hanno anche un beneficio diretto sul benessere animale e sulla gestione dell’azienda: il verde intorno, infatti, ci permette di abbassare la temperatura in estate di 5-6 °C, dovendo quindi ricorrere a minori sforzi per la ventilazione”.
Infine, il colpo di genio: la piantumazione delle Paulownie, piante che assorbono un quantitativo di anidride carbonica fino a 10 volte superiore a quello delle altre specie e che hanno un ritmo di crescita altissimo. Accanto all’allevamento adesso c’è un vero e proprio parco, con due cupole (una realizzata con le piante di Paulownia e una in legno), dove si può fare yoga o passeggiare, in cui si possono ammirare le casette per gli insetti impollinatori disseminate un po’ ovunque, accanto a una parte di terreno dove oggi l’azienda, in collaborazione con il WWF, coltiva grano per Barilla.
Dopo aver constatato quanto Cascina Felizia sia una realtà particolare, davvero integrata nel territorio al quale è fiera di appartenere, con Roberto Pons abbiamo parlato anche del futuro dell’avicoltura. La sua ricetta è semplice: innanzitutto dovremmo insegnare agli allevatori come integrarsi nel territorio, attraverso lo scambio di buone pratiche e corsi di aggiornamento, perché “trasmettere il nostro sistema di lavoro, sano, integrato, è la cosa più importante. Non sono i premi che fanno i risultati, sono solo riconoscimenti di un lavoro fatto con passione”. Poi andrebbe migliorata la qualità della comunicazione: “in questi ultimi anni gli allevatori sono stati additati come insensibili maltrattatori di animali, a causa di alcune realtà che – è inutile negarlo – esistono, così come in ogni categoria professionale ci sono purtroppo persone che lavorano male. Ma se tutti si impegnano a migliorare, aprono le porte al pubblico per far vedere che non hanno niente da nascondere, dimostrano che un allevamento intensivo immerso nel verde può essere piacevole da frequentare, nessuno potrà più accusarci di niente. Per questo motivo il 27 maggio scorso ho organizzato una grande festa rivolta ai bambini delle scuole, con numerose attività pensate proprio per educare i più giovani, per far conoscere il nostro lavoro e ribadire la necessità di rispettare il territorio.”
E il 27 maggio, infatti, a Cascina Felizia si sono riuniti oltre 300 allievi delle scuole della zona per una giornata di educazione ambientale, patrocinato dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari e di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino. Nel corso della giornata i bambini hanno capito l’importanza delle piante per arginare il rischio idrogeologico nel gazebo di Re Soil Foundation, hanno imparato a spegnere un incendio nel bosco grazie all’intervento della squadra AIB, hanno scoperto come vive un pollo grazie alla lezione-gioco della prof.ssa Elena Grego del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Torino, hanno capito l’importanza degli insetti impollinatori per la sopravvivenza del nostro pianeta, scoperto come viene prodotto il miele e quali sono le caratteristiche dei semi e la loro importanza per l’alimentazione sia umana che animale. Tutti i bambini, al termine della giornata di festa, hanno ricevuto in dono una pianta di Paulownia da portare a casa, perché, come dice Roberto Pons, “se oggi stesso ognuno di noi piantasse una pianta, stasera sul nostro pianeta avremmo 7 miliardi di nuove piante”. Come dargli torto?
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