Parte prima – Censimento delle galline ovaiole e produzione di uova
Le analisi che si occupano dello sviluppo e dei modelli dell’industria mondiale delle uova si concentrano nella maggior parte dei casi su Europa, Nord America e Asia orientale. Con l’eccezione di pochi Paesi, l’Africa e l’Oceania non sono al centro di ricerche scientifiche. Questa lacuna viene colmata con due articoli: il primo si concentra sul censimento delle galline ovaiole e sulla produzione di uova; nel secondo articolo saranno individuati alcuni modelli nelle cinque sub-regioni africane.
Lo squilibrio tra i continenti
La Tabella 1 documenta lo squilibrio esistente tra i vari continenti nel loro contributo alla popolazione globale, alle scorte di galline ovaiole e alla produzione di uova. L’Asia domina sugli altri continenti: nel 2018 ha contribuito per il 60% alla popolazione mondiale e per circa il 60% alla produzione mondiale di uova.
Al contrario l’Africa ha contribuito solo con il 16,7% alla popolazione del mondo e con il 4,2% al volume mondiale di uova. La popolazione di Europa, America Centrale e America del Sud messe insieme raggiunge quella africana, ma i tre Paesi hanno contribuito alla produzione mondiale di uova per il 22,7%.
Differenze sostanziali nelle dinamiche relative alle galline ovaiole
Tra il 2008 e il 2018 le scorte di galline ovaiole in Africa sono passate da 455,1 milioni a 518,2 milioni di capi, con un aumento del 18,9%. Il tasso di crescita relativa non è stato molto più basso di quello mondiale, che è stato del 19,4%.
Uno sguardo più approfondito alla situazione a livello dei singoli Paesi rivela, però, differenze sostanziali. Nei dieci Paesi leader, come indicato nella Tabella 2, le scorte sono cresciute solo del 11,1% a causa della consistente riduzione di allevamenti in Nigeria e in Sudafrica. Negli altri otto Paesi invece il numero di ovaiole è cresciuto tra il 18,9% (Kenya) e il 96,1% (Marocco).
Nella decade presa in esame la crescita assoluta più alta di allevamenti di galline ovaiole è quella del Marocco, con 32,2 milioni di galline, seguita dall’Egitto con 5,7 milioni di capi e dalla Tunisia con 5,1 milioni di capi. Gli allevamenti in Nigeria sono diminuiti di 20,6 milioni di capi (16,2%) mentre quelli in Sudafrica di 7,4 milioni (10,9%). I focolai di Influenza Aviaria hanno colpito entrambi i Paesi (OIE 2017) e hanno causato drastiche perdite negli allevamenti. Oltre alla malattia, la carenza di pulcini appena nati, la scarsa qualità dei mangimi e la mancanza di un sistema veterinario qualificato hanno portato a tassi di mortalità elevati.
Anche l’instabilità politica ed economica ha avuto un impatto negativo sullo sviluppo dell’industria avicola (FAO 2018). Le massicce epidemie in Sudafrica hanno provocato la perdita di diversi milioni di animali. Uno dei maggiori problemi nella diffusione del virus è stata la presenza di allevamenti di struzzi, che hanno veicolato il virus senza mostrarne i segni clinici, causandone la diffusione in circa 100 allevamenti avicoli. Molti altri Paesi sono stati colpiti da ceppi di Influenza Aviaria ad alta patogenicità, che sono stati rilevati per la prima volta in Africa nel 2006 e si sono poi diffusi velocemente in molti altri Paesi.
La Tabella 2 mostra come, nonostante le notevoli perdite, la Nigeria si sia classificata al primo posto nel 2018 ma abbia perso il 7,4% di quanto aveva fatto registrare nel 2008. Il Sudafrica ha perso il 2,0%, mentre il Marocco ha guadagnato il 5,3%. Tra il 2008 e il 2018 la composizione e il posizionamento in classifica non sono cambiati molto. Il Marocco ha preso il posto del Sudafrica in seconda posizione e il Ghana è stato sostituito dal Benin. La diminuzione delle scorte in Nigeria e Sudafrica ha determinato un calo della concentrazione regionale dal 71,2% del 2008 al 69,5% del 2018.
Il virus dell’Influenza Aviaria costituisce una minaccia permanente per l’industria avicola africana. Le iniziative volte ad aumentare il livello di biosicurezza degli allevamenti hanno avuto un successo limitato, soprattutto a causa dello scarso livello di istruzione di molti piccoli allevatori e della mancanza di capitale per effettuare i necessari investimenti.
Elevata concentrazione regionale nella produzione di uova
La produzione di uova in Africa è cresciuta di 594.500 tonnellate tra il 2008 e il 2018 e ha raggiunto un volume di 3,2 milioni di tonnellate, pari al 4,2% della produzione mondiale. Il tasso di crescita relativo del 22,8% è stato di circa l’1,6% più basso rispetto a quello mondiale. Questo è un indicatore del problema che hanno molti Paesi africani a tenere il passo con lo sviluppo dinamico degli altri continenti.
Nei dieci Paesi leader, la produzione di uova è cresciuta di 438.000 tonnellate (pari al 22,8%) indicando una crescita più rapida in molti Paesi rispetto alla media del continente. L’unica nazione che ha fatto registrare un calo nella produzione (99.600 tonnellate, pari al 17,1%) è stata la Nigeria. Nonostante la perdita di allevamenti di ovaiole, il volume della produzione in Sudafrica è cresciuto di 27.600 tonnellate, pari al 6,5%.
La crescita assoluta più alta nella decade presa in esame è stata quella del Marocco con 203.600 tonnellate, seguita dalla Nigeria con 129.600 tonnellate e dall’Egitto con 98.800 tonnellate. In Marocco e in Sudan la produzione di uova è più che raddoppiata (Tabella 3).
Vale la pena notare che cinque dei dieci Paesi leader si trovano in Africa settentrionale, un dato prevedibile considerando le dinamiche delle scorte di galline ovaiole.
Il ruolo straordinario che i dieci Paesi leader ricoprono nelle dinamiche dell’industria africana di uova diventa chiaro se si pensa che essi hanno contribuito per il 73,7% alla crescita della produzione di uova di tutto il continente, ma solo per il 57,2% alla crescita degli allevamenti di ovaiole.
Ovviamente la produzione in queste zone è stata più efficiente che negli altri 43 Stati. La concentrazione regionale nella produzione di uova è stata anche più alta di quella della popolazione di ovaiole. Mentre i dieci Paesi leader hanno contribuito per il 79,5% al volume della produzione africana, hanno contribuito solo per il 69,5% a quella della popolazione di galline ovaiole.
Un confronto nella composizione e nel posizionamento in classifica dei Paesi nel 2008 e nel 2018 mostra che il Burkina Faso è stato rimpiazzato dal Sudan, l’Egitto ha spodestato il Sudafrica dal secondo posto e la Libia è salita dal nono all’ottavo posto. Un confronto con i dati riportati nella Tabella 2 mostra alcune differenze interessanti: l’Egitto si è classificato quarto per numero di allevamenti di ovaiole, ma si colloca al secondo posto per quanto riguarda la produzione di uova. Il Burkina Faso e il Benin sono stati sostituiti dalla Libia e dal Sudan.
Lo sviluppo dinamico dell’Egitto è degno di nota soprattutto perché il Paese a partire dal 2009 è stato colpito da numerosi focolai di Influenza Aviaria, in particolare tra il 2014 e il 2016 (Kayali et al. 2016). La crescita del volume di produzione dal 2016 è il risultato di un efficiente controllo della diffusione del virus e di un maggiore livello di biosicurezza negli allevamenti. Le uova non sono state solo prodotte per soddisfare la crescente domanda interna, ma anche per le esportazioni. Questo è stato il caso anche del Marocco, che è stato capace di controllare i focolai di Influenza Aviaria, che hanno colpito il Paese dal 2016 in poi, ed è riuscito ad aumentare notevolmente la produzione di uova.
Produzione di uova per gallina: una misura per determinare l’autosufficienza di un Paese?
Dei 53 Paesi africani indipendenti, per i quali erano disponibili i dati relativi al 2018 riguardanti gli allevamenti di galline ovaiole e la produzione di uova, 31 appartenevano ai Paesi meno sviluppati secondo la classificazione FAO. Per la maggior parte dei Paesi africani non sono stati pubblicati nelle statistiche ufficiali dati affidabili sul tasso di deposizione delle galline, sul consumo pro capite di uova e sul tasso di autosufficienza con le uova. Anche molti dati su scorte e produzione pubblicati dalla FAO sono in realtà basati essenzialmente su stime.
Per avere un’idea sull’autosufficienza di questi Paesi si può calcolare la produzione di uova in kg per gallina e per anno (Tabella 4). Si deve tuttavia considerare che a causa della mancanza di dati sul consumo pro capite, i dati possono fornire solo una prima impressione sulla disponibilità di uova per la popolazione. Supponendo, ad esempio, che in Tanzania una gallina in un allevamento domestico, non industriale, produca 6,7 kg di uova all’anno, si ottiene un risultato – considerato che il peso medio di un uovo è di 52 grammi – di 129 uova all’anno per persona. È ovvio che in Paesi più sviluppati dell’Africa settentrionale e in Sudafrica, Paese soglia, la produzione è stata maggiore rispetto a quella di Paesi meno sviluppati come la Tanzania e il Sudan. Si può presumere inoltre che la maggiore produzione per gallina sia un indicatore dell’impiego di galline ibride, che si differenziano dalle razze locali usate nei Paesi meno sviluppati.
Sommario
L’analisi fin qui condotta ha fornito una prima fotografia delle dinamiche e dei modelli dell’industria delle uova in Africa ed è stato documentato l’ampio divario tra il contributo di questo continente alla popolazione mondiale e la sua produzione di uova. È stato inoltre possibile dimostrare che la concentrazione regionale nella produzione di uova è stata notevolmente superiore rispetto a quella delle galline ovaiole, il che rappresenta un indicatore delle forti differenze esistenti nell’efficienza della produzione di uova.
Il virus dell’Influenza Aviaria è stato – e tuttora è – una minaccia costante per la produzione africana di uova e ha colpito duramente molti Paesi negli ultimi 10 anni. Inoltre, l’instabilità politica ed economica di molti Paesi, la popolazione in rapida crescita, bassi livelli di istruzione, la mancanza di veterinari esperti di avicoli, i mangimi di bassa qualità e l’uso di razze locali sono tutti fattori che possono spiegare lo squilibrio tra l’apporto dell’Africa alla popolazione mondiale e il suo contributo alla produzione di uova.
Saranno necessari grandi sforzi per migliorare l’offerta di uova come proteina di alto valore per la popolazione.
Bibliografia e approfondimenti
Fasanmi, O. G. et al.: Public health concerns of highly pathogenic avian influenza H5N1 endemicity in Africa. In: Veterinary World 10 (2017), October, p. 1194-2004 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5682264, May 15th, 2020).
FAO (ed.): livestock and Poultry Spotlight Nigeria. Rome 2018 (http://www.fao.org/3/CA2149EN/ca2149en.pdf, May 18th, 2020).
Kayali, G. et al.: Avian Influenza A (H5N1) virus in Egypt. In: Emerging Infectious Diseases 22 (2016), no. 3, p. 379-388. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4766899, May 19th, 2020).
OIE, World Organisation for Animal Health. Update on Avian Influenza in Animals (Types H5 and H7) 2017 (http:// www.oie.int/en/animal-health-in-the-world/update-on-avian-influenza/2017, May 19th, 2020).
Windhorst, H.-W.: The contrasting world of global egg production. In: Zootecnica international 42 (2020) (di prossima pubblicazione).