L’avicoltura soffre l’impennata dei costi di produzione

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In foto da sinistra: Stefano Gagliardi, direttore Assoavi; Stefano Patuanelli, Ministro dell’Agricoltura; Antonio Forlini, Presidente Unaitalia.
Pesano in avicoltura i rincari energetici e quelli delle materie prime: durante la prima giornata del Poultry Forum sono stati presentati i dati sui consumi e sui costi del settore. Gli acquisti di carni avicole, dopo un quinquennio di aumenti sia in quantità che in valore, mostrano i primi segnali di cedimento; fase di stallo per le uova dopo anni molto positivi e i risultati brillanti ottenuti durante il lockdown.

Il settore avicolo è tra quelli più colpiti dall’impennata dei costi di produzione. Pesano sul comparto non solo i rincari energetici, ma anche quelli delle materie prime destinate all’alimentazione animale. Secondo l’indice Ismea dei mezzi correnti di produzione, nei primi tre mesi del 2022 sono stati registrati complessivamente aumenti degli input produttivi del 21,1% per la carne avicola e del 50% per le uova. La razione animale è la voce di costo che pesa di più sui bilanci aziendali (circa il 60% del totale dei costi che gravano sugli allevamenti di polli e galline ovaiole), e che sta registrando gli aumenti più significativi, con un +33% nel primo trimestre di quest’anno e un ulteriore balzo del 40% ad aprile su base annua, a causa delle perduranti tensioni sui listini internazionali di mais, soia e orzo. Per il segmento delle carni l’inasprimento dei costi di produzione si sta gradualmente trasferendo sui prezzi di vendita lungo le varie fasi della filiera sino al consumo finale, grazie a una domanda comunque dinamica e interessata. Appare al momento più delicata la situazione delle uova, i cui acquisti, dopo i brillanti risultati ottenuti durante il lockdown della prima ondata pandemica, stanno vivendo una fase di stallo in presenza di prezzi insufficienti a garantire un’adeguata marginalità.

Più nel dettaglio, le carni avicole hanno beneficiato negli ultimi 5 anni di un aumento degli acquisti del 9% in quantità e del 19% in valore, mostrando una dinamica molto più favorevole rispetto al comparto delle carni nel loro complesso e un crescente orientamento verso prodotti a maggior valore aggiunto. Nel primo trimestre dell’anno, in risposta all’evidente incremento dei prezzi medi (+15% rispetto al 2021, +19% rispetto al 2019), la domanda al consumo ha mostrato i primi segnali di cedimento, allineandosi di nuovo ai volumi pre-pandemia, in presenza di una spesa più alta del 4% rispetto ai primi tre mesi del 2021.

Gli acquisti di uova, dopo un quinquennio molto positivo con una crescita della spesa di quasi il 20% e un maggiore orientamento dell’offerta e della domanda verso le tipologie bio e allevate a terra, hanno accusato nel 2021 una battuta d’arresto, perdendo circa il 10% sia a volume che a valore. Una tendenza flessiva che sta proseguendo anche nei primi tre mesi dell’anno in corso (-9% in volume e -6,8% in valore).

“L’avicoltura sta fronteggiando un forte inasprimento dei costi di produzione, sui quali pesa in particolare il capitolo della mangimistica, esposto alla fiammata senza precedenti delle quotazioni internazionali delle materie prime agricole, mais e soia in primis – ha commentato il dottor Fabio del Bravo, illustrando lo studio Ismea al convegno. Tensioni che hanno origine da fenomeni congiunturali antecedenti alla guerra e la cui escalation, con il protrarsi delle ostilità, appare più che altro legata a una componente di natura speculativa, se si guardano con attenzione i dati. Le circa 800 mila tonnellate di mais importate in Italia dall’Ucraina, pur rappresentando il 15% dei nostri approvvigionamenti esteri, assumono una dimensione del tutto marginale rispetto allo scenario globale. Il peso del mais ucraino nella produzione e nel commercio mondiale non è che di pochi decimali e centesimi sopra lo zero (0,4% delle forniture e 0,07% della produzione). A esclusione dell’olio girasole, non sembra quindi sussistere al momento un reale problema di indisponibilità della materia prima, ma chiaramente tutto dipenderà dall’evoluzione dei prossimi raccolti mondiali di cereali. Con una produzione nella norma, come indicano le attuali stime più accreditate, il mercato è destinato pertanto a riequilibrarsi”.

“L’importante diminuzione dei consumi del 2021 è in gran parte dovuta al confronto con l’aumento registrato nel 2020, dove in totale lockdown i consumi domestici di uova sono schizzati unitamente alle farine, lieviti, e altre categorie di preparazioni domestiche – ha precisato il direttore di Assoavi, Stefano Gagliardi, commentando lo studio. Se invece andiamo a confrontare i dati del 2021 con il 2019, eliminando il 2020, leggiamo addirittura una lieve crescita di volumi (+1,9%), dovuti a un volume stabile nella GDO (Iper/Super/libero servizio) e a una crescita nei Discount, a conferma di una curva di lungo periodo della categoria uova. Se andiamo ad analizzare (sempre GDO+Discount) i primi 3 mesi del 2022 comparandoli con gli stessi del 2021, leggiamo un calo inferiore del 4/5%. Questo si spiega osservando una ripresa importante, a pari periodo, del fuori casa – trasversale in tutte le categorie alimentari – che, pur non tornando ancora ai livelli pre-pandemia, sta segnando risalite importanti. Purtroppo nel 2022 l’aumento dei costi quali energia, trasporti e in particolare dei cereali, dovuti sia all’accaparramento operato dalla Cina che all’impatto del conflitto Russia-Ucraina, sta generando una situazione difficile per le imprese agricole”.

Per Lara Sanfrancesco, direttore di Unaitalia: “i dati della ricerca Ismea confermano il primato delle carni avicole tra i consumi degli italiani nel 2021 e l’autosufficienza del comparto, con un tasso di approvvigionamento al 108,8%. L’attualità ci impone tuttavia di guardare al futuro con prudenza e attenzione: l’avicoltura rimane tra i settori più colpiti dalla crescita dei prezzi di produzione nel 2022, con un +21%, e con rincari dei mangimi arrivati al +40% ad aprile su base annua. Il combinato disposto tra rincaro dei costi di produzione e la contrazione degli acquisti domestici a volume, che in un trimestre hanno azzerato gli ottimi risultati degli ultimi 2 anni, mettono a serio rischio la marginalità delle nostre imprese e l’autosufficienza del settore in un contesto incerto come quello attuale. Auspichiamo una maggiore attenzione da parte delle istituzioni per salvaguardare un comparto, fiore all’occhiello della zootecnia italiana e 100% Made in Italy. Un fattore, quello dell’italianità, che rimane, assieme alla marca, il driver di acquisto principale per il consumatore, con il 66% dei consumatori che presta attenzione all’origine del prodotto”.