L’importanza di una corretta informazione
Il 3 dicembre 2020 si è tenuta in streaming l’VIII edizione dell’International Poultry Forum, che si è svolto all’interno della cornice delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona. “L’avicoltura italiana va incontro alle richieste dei consumatori: la nascita di nuove sinergie” è stato il tema al centro del convegno di IPF.
Al convegno dell’VIII edizione dell’International Poultry Forum sono intervenuti numerosi relatori che hanno fatto il punto su sicurezza, sostenibilità, qualità dei prodotti, benessere animale, riduzione degli antibiotici e richieste dei consumatori. All’incontro, moderato da Guido Grilli, professore associato al Dipartimento di Medicina Veterinaria dall’Università Statale di Milano, sono intervenuti Alessandro Scolari, medico veterinario del Laboratorio Vallerana e patologo aviare di lunga data, Ferdinando Battistoni, medico veterinario del Gruppo Amadori e Renata Pascarelli, Direttrice Qualità di Coop Italia.
A fare il punto sull’evoluzione della filiera avicola e sull’importanza che riveste una corretta informazione nei confronti dei consumatori è stato Alessandro Scolari, che ha sostituito il prof. Romano Marabelli, consigliere e vice Direttore del World Organisation for Animal Health di Parigi, il quale, nello stesso giorno in cui si è tenuto il forum, è stato nominato membro dell’Accademia veterinaria di Francia.
Le norme che regolano l’avicoltura e la percezione dei consumatori
L’avicoltura italiana da decenni è all’avanguardia grazie alla capacità imprenditoriale degli allevatori, al rispetto delle regole e alla preparazione di veterinari e tecnici che lavorano a fianco degli allevatori. La grande qualità dei prodotti italiani è dimostrata non solo dalla nostra autosufficienza, ma anche dal fatto che il nostro Paese è esportatore di carni avicole anche in Paesi in cui i costi di produzione sono inferiori ai nostri.
Negli ultimi anni, in particolare, l’avicoltura in Italia si è concentrata su alcuni aspetti come igiene, biosicurezza, prevenzione delle malattie con piani vaccinali sempre più mirati e attenti, nonché sull’uso di prodotti alternativi agli antibiotici.
Purtroppo l’immagine media che un cittadino ha degli allevamenti avicoli intensivi è pressappoco quella di un lager in cui gli allevatori sono i carcerieri, nonostante in Europa la legislazione che riguarda la produzione e il benessere animale sia realizzata con il contributo dei cittadini, con quello degli Stati membri e con il ruolo operativo della Commissione europea, in particolare della Direzione Generale per la salute e la sicurezza alimentare (DG SANTE).
Allo studio della Commissione europea attualmente ci sono proposte che riguardano la proibizione dell’uso di tutte le gabbie, il benessere, l’esportazione e il trasporto degli animali, un’etichettatura sul benessere: i temi vengono analizzati con il contributo di 170 rapporti redatti da operatori commerciali e associazioni non governative, a dimostrazione del corposo processo alla base della promulgazione delle leggi, nel corso del quale sono sentiti tutti gli stakeholder. Attualmente la lista degli stakeholder comprende 39 membri e 10 di questi appartengono al mondo delle associazioni che si occupano di benessere animale, tra le quali è possibile annoverare Animals’ Angels, Compassion in World Farming, Eurogroup for Animals, Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals. La Commissione inoltre si appoggia alle cosiddette agenzie, quali European Food Safety Authority (EFSA), European Medicines Agency (EMA), European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), Community Plant Variety Office (CPVO), Consumers, Health, Agriculture and Food Executive Agency (CHAFEA), European Chemicals Agency (ECHA), che sono organi consultivi indipendenti di esperti che forniscono un aiuto nella valutazione di alcuni aspetti critici delle norme comunitarie.
Nonostante l’imponente normativa europea in tema di benessere animale, emerge però dagli Eurobarometri – le indagini demoscopiche realizzate in tutti i Paesi dell’Unione Europea – che più di 8 persone su 10 sono convinte che gli animali dovrebbero essere protetti di più, sebbene siano in pochi quelli disposti a pagare un prezzo più alto e che solo il 12% degli intervistati dichiari di essere ben informato sugli allevamenti e sul benessere degli animali allevati (Tabella 1). Il vuoto di conoscenza da parte del consumatore è riempito da una serie di video girati illegalmente, che sono stati presentati al cittadino in modo da rappresentare un’immagine distorta della realtà allevatoriale. Le riprese, diffuse senza alcun tipo di censura o di condanna, non rendono merito alle leggi vigenti, che vengono applicate negli allevamenti italiani, regolarmente ispezionati dalle autorità preposte al controllo del benessere degli animali a livello provinciale, regionale, nazionale ed europeo. Considerato l’impegno e l’investimento economico che gli allevatori sostengono per svolgere la propria attività nel rispetto delle leggi sul benessere, è giusto pertanto che vengano date corrette informazioni sul benessere avicolo.
La diminuzione nell’uso degli antibiotici
L’Italia è il sesto produttore di carni avicole in Europa (Grafico 1) e il terzo Paese nella produzione di uova, sfiorando anche in questo campo l’autosufficienza. L’avicoltura italiana impiega negli allevamenti 38.500 impiegati e nell’industria alimentare 25.500 lavoratori. La zootecnia rappresenta il 10% del fatturato dell’Italia.
Per venire incontro agli interessi dei consumatori, l’avicoltura si è impegnata nella comunicazione attraverso l’etichettatura volontaria dei prodotti, basata sul Decreto 29/7/2004 del Ministero dell’Agricoltura, che pone delle regole in tema di concreta tracciabilità dei lotti di produzione, di certificazione rilasciata da un organismo indipendente (CSQA) e di vigilanza da parte del Ministero dell’Agricoltura.
Un altro aspetto sul quale sono stati fatti numerosi passi avanti è quello del Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e per la lotta all’antibiotico-resistenza in avicoltura (unico in Europa realizzato da una componente scientifica, la Società Italiana Patologia Aviare, e da una componente produttiva), che dal 2015 a oggi ha portato a notevoli risultati. Nel 2019, rispetto al 2011, siamo infatti arrivati a -87% di antibiotici somministrati ai broiler e -74% di antibiotici ai tacchini. Tali dati sono la dimostrazione del grande sforzo che l’avicoltura italiana realizza al fine di offrire al consumatore prodotti di qualità.
Un dato che è importante sottolineare, in tema di resistenza agli antibiotici, è che a fronte di un utilizzo seppur ridotto, non si sono comunque mai verificati problemi di residui sui prodotti avicoli: su una media di 7.500-8.000 campioni prelevati ogni anno, rappresentativi di altrettante partite di animali, la percentuale di campioni positivi è 0 o comunque molto vicina allo 0. Per fare un esempio, nel 2016 su 7.621 campioni, 3 sono risultati positivi, pari allo 0,04%. In uno di questi casi, inoltre, i residui di cloramfenicolo provenivano dalla produzione naturale della molecola da parte dei batteri del sottosuolo, a dimostrazione dell’estrema attenzione che bisognerebbe fare nel controllare che i pochissimi dati positivi non si rivelino falsi positivi.
Avicoltura e sostenibilità ambientale
Anche dal punto di vista dell’impatto ambientale dell’avicoltura e delle produzioni zootecniche di origine animale nel mondo sono stati fatti notevoli passi avanti. L’evoluzione della selezione del pollo da carne oggigiorno si concentra su aspetti ambientali, che migliorano con l’ottimizzazione dell’indice di conversione alimentare e del consumo di acqua, e su aspetti legati al benessere, come lo sviluppo scheletrico, la funzione cardiorespiratoria e la vitalità degli animali. Le razze a rapida crescita hanno un indice di conversione più basso rispetto a quelle a lenta crescita, pertanto hanno bisogno di un numero minore di nutrienti per riuscire a produrre 1 kg di carne. Anche in termini di fabbisogno di superficie agricola si può notare un miglioramento, così come per il consumo di acqua per produrre alimenti.
Le produzioni di origine animale sono poco sostenibili perché hanno bisogno di molta più acqua per produrre 1 kg di prodotto, rispetto all’acqua necessaria per produrre 1 kg di alimenti vegetali. Se però valutiamo, come fa l’Unesco, i litri per kilocalorie, considerando i litri di acqua necessari alla produzione di un alimento in base al suo livello nutrizionale, in questo caso i prodotti di origine animale risalgono la classifica dei prodotti più virtuosi, così come accade se viene calcolato il consumo di acqua in litri rapportato alla quantità di grasso contenuto nell’alimento.
In sostanza molto dipende da come vengono presentati questi dati, senza dimenticare che rispetto alle proteine di origine animale, quelle di origine vegetale sono qualitativamente inferiori. La differenza sostanziale è relativa allo spettro aminoacidico: le proteine animali contengono tutti gli aminoacidi essenziali e vengono per questo dette proteine nobili, le proteine vegetali, invece, non li contengono tutti (i cereali, per esempio, sono carenti di triptofano e lisina, mentre nei legumi si registra una certa carenza di metionina e cisteina), e infatti vengono definite proteine semplici.
Per quanto riguarda la produzione di gas a effetto serra, essa è monitorata dal GLEAM (Global Livestock Environmental Assessment Model) che si propone di contribuire a ridurre le emissioni di gas che provengono da attività zootecniche – da notare che l’intera attività zootecnica contribuisce per il 14,5% alla produzione di gas serra, mentre l’avicoltura produce l’8% dei gas della zootecnica, ovvero l’1,12% del totale – e garantire che tali attività siano il più efficienti possibile. A conferma dell’impegno profuso anche in questo campo, vale la pena riportare il dato fornito dal DEFRA, il Dipartimento dell’agricoltura inglese, secondo cui l’agricoltura – dal 1988 a oggi –ha quasi dimezzato le emissioni di protossido di azoto, di ammoniaca, di metano e in generale dei gas serra.
In conclusione possiamo dire che l’avicoltura italiana ed europea stanno fortemente riducendo il ricorso all’uso di antibiotici e i risultati di tale riduzione sono evidenti, nel pieno rispetto della salute e del benessere degli animali allevati. Il risultato è stato ottenuto con notevoli sforzi economici, migliorando le tecniche di prevenzione e le vaccinazioni.
L’obiettivo corretto che si deve porre l’avicoltura non è la produzione di polli allevati senza l’uso di antibiotici, bensì l’allevamento di animali sani, per mezzo della prevenzione delle patologie, con un moderato e adeguato uso di antibiotici in caso di necessità, allo scopo di ridurre la resistenza ai prodotti antimicrobici.
La moderna avicoltura è fondamentale per alimentare l’umanità in crescita e la sua sostenibilità ambientale è in continuo miglioramento. Le carni e le uova rappresentano una fonte di nutrienti di alta qualità a basso costo in grado di sopperire alle carenze degli alimenti di origine vegetale e alimentare le popolazioni dei Paesi poveri, di quelli in via di sviluppo, nonché le fasce meno abbienti dei Paesi a economia avanzata, mentre le nicchie della produzione biologica, dei polli a lenta crescita e di quelli antibiotic free potranno soddisfare le esigenze dei consumatori di fascia alta nei Paesi occidentali.