Quando l’intestino si ribella: la sfida dell’infiammazione cronica nelle galline ovaiole

Luca Bianco, Medico veterinario - Specialista in avicoltura e nutrizione animal

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Nell’industria avicola la salute intestinale degli animali rappresenta un fattore critico per ottenere elevate rese produttive, efficienza alimentare e resistenza alle patologie. Una delle problematiche che durante il suo ciclo di vita più affligge la gallina ovaiola, penalizzandone le performance, risulta essere l’infiammazione intestinale cronica. In questo articolo verrà esplorato questo meccanismo complesso e multifattoriale, dalle potenziali cause alle interazioni con l’organismo e le possibili strategie per mitigarne gli effetti.

Il complesso intreccio di cause alla base dell’infiammazione cronica

L’infiammazione cronica intestinale rappresenta una delle sfide sanitarie più significative per gli allevamenti di galline ovaiole. Questa condizione, spesso multifattoriale, non solo compromette il benessere degli animali (alterazioni del comportamento, stress), ma incide in maniera importante su diversi parametri: produttività, qualità delle uova, immunodepressione che ha come dirette conseguenze una maggiore suscettibilità alle patologie e un aumento della mortalità associata.

È ormai noto che l’infiammazione risulta essere un meccanismo fisiologico, che entro certi livelli apporta benefici a livello organico; essa determina un’immediata risposta a diversi stimoli lesivi a cui è sottoposta la barriera intestinale, attraverso l’attivazione del sistema a cascata del NFkB (fattore nucleare kappa b) e del meccanismo delle interleuchine. Un’eccessiva risposta immunitaria comporta, però, una deplezione energetica elevata: energia che potrebbe essere utilizzata per l’accrescimento e/o la deposizione. Il processo infiammatorio cronico si può instaurare quando diversi fattori come l’alimentazione, la presenza di patogeni e lo stress alterano il delicato equilibrio presente tra microbiota e la barriera (mucosa) intestinale. Questa condizione si manifesta inizialmente con un quadro di enterite (fase acuta), dove risulta compromessa l’integrità della barriera intestinale: ciò porta a un aumento di permeabilità della stessa e la conseguente infiltrazione di eso/endo-tossine e/o patogeni nel circolo ematico. I danni alla mucosa enterica espongono i recettori Toll-like, presenti a livello della lamina propria, a sostanze presenti nel lume intestinale (lipopolisaccaridi, peptidoglicani, flagelline ecc.), causando così un ulteriore stress ossidativo dell’epitelio (Durand et al., 2022). Considerato che il 70% circa della capacità del sistema immunitario di questi animali è concentrato in questa sede, l’instaurarsi di un processo infiammatorio cronico del tratto gastro-enterico risulta potenzialmente lesivo per tutti gli organi, tessuti e cellule; in questo modo vengono così penalizzate le performance, la salute e il benessere dei soggetti colpiti.

Un processo su base multifattoriale

L’infiammazione intestinale è spesso dovuta al passaggio di materiale alimentare indigerito e all’aumento della permeabilità della barriera enterica. Vediamo quali sono i fattori che maggiormente contribuiscono al processo.

Agenti infettivi enteropatogeni: batteri come il Clostridium perfringens (agente eziologico dell’enterite necrotica), Brachyspira spp. (in particolare B. pilosicoli, che ha come target i ciechi), Salmonella spp., E. coli; virus come coronavirus, astrovirus, rotavirus, ecc.

Parassiti: la coccidiosi è una delle patologie più dannose che causa danni a livello delle cellule della parete intestinale; i protozoi, replicandosi, sviluppano un processo infiammatorio che predispone a infezioni batteriche secondarie. Vermi intestinali, quali ad esempio ascaridi, Heterakis spp., Capillaria spp., possono contribuire a una cronicizzazione di un processo infiammatorio a carico della mucosa intestinale, oltre a competere per i nutrienti ed essere possibili cause di ostruzioni intestinali.

Qualità del mangime: è necessario un controllo analitico approfondito per le materie prime utilizzate per la formulazione delle diete, al fine di evitare rischi derivanti da esposizione a livelli anomali di micotossine e/o microbiologici; anche livelli bassi, mediante un’azione di tipo sinergico, possono esercitare un effetto negativo su vari organi, in primis intestino e fegato. Un mancato controllo in ingresso delle materie prime, a livello di mangimificio, può portare a diverse conseguenze negli animali: ad esempio, per quanto riguarda la soia, la presenza di fattori antinutrizionali (causata da un errato processo di cottura) conduce a uno squilibrio organico, con carenze importanti e/o stati patologici; la setacciatura del mais, prima della lavorazione, permette di rimuovere gran parte del materiale che potrebbe risultare contaminato (micotossine, ecc.).

Granulometria del mangime finito: è un altro parametro di fondamentale importanza per la gallina ovaiola; essendo un mangime, per la gran parte delle situazioni, in farina, occorre avere un occhio di riguardo per l’omogeneità: alterazioni di volume (in percentuale) tra parte grossolana e fine possono contribuire a un processo selettivo degli animali in allevamento, predisponendoli a fenomeni di natura infiammatoria, squilibri di nutrienti e alterazioni comportamentali (cannibalismo).

Formulazione: la digeribilità di una dieta risulta fondamentale, sia dal punto di vista economico sia a livello tecnico-sanitario. Diete sbilanciate possono portare a un eccesso di nutrienti (ad es. proteine) nel tratto gastro-enterico, contribuendo a uno stato pro-infiammatorio e a una disbiosi, con proliferazione di microorganismi come il Clostridium perfringens e successivo sviluppo di uno stato patologico. Il processo di formulazione di una dieta, per una nutrizione di precisione, dovrebbe passare attraverso l’utilizzo delle sue componenti digeribili, soprattutto proteine e amminoacidi, ma anche carboidrati, grassi, fibra. Inoltre ci sono diversi studi che dimostrano che livelli eccessivi di calcio nelle diete degli avicoli contribuiscono a un peggioramento della digestione in generale.

Qualità dell’acqua: quale risorsa fondamentale, una scarsa qualità della stessa, a livello microbiologico e/o chimico-fisico, può portare a degli stati infiammatori con un aumento della permeabilità intestinale; livelli elevati di metalli, quali rame, ferro, manganese, possono contribuire a dei fenomeni diarroici e allo sviluppo di popolazioni batteriche patogene, le quali utilizzano questi substrati per la loro proliferazione. Inoltre risulta importante controllare periodicamente, a livello analitico, eventuali componenti microbiologiche anomale, come carica batterica totale, coliformi, enterococchi, ecc.

Stress: le galline ovaiole durante il ciclo di deposizione hanno diversi periodi in cui possono andare incontro a determinati fattori stressanti; tipicamente si osservano problematiche durante le prime settimane dall’arrivo fino al raggiungimento del picco di deposizione. In questo periodo si osserva lo sviluppo di fenomeni di natura enterica per via dell’esposizione a un nuovo ambiente dopo il trasferimento dallo svezzamento e per la somministrazione di diete a elevato contenuto proteico, volte a sostenere la deposizione. Dopo le 40-45 settimane talvolta si assiste a un aumento del peso delle uova e a dei fenomeni di degenerazione epatica, fattori che contribuiscono a processi infiammatori di natura cronica. Durante la stagione calda, il cosiddetto stress da calore è causa di una diminuzione dell’integrità della barriera intestinale e conseguente immunodepressione.

Comportamento: il processo infiammatorio cronico contribuisce allo sviluppo di un’alterazione comportamentale, con fenomeni quali plumofagia e cannibalismo. Si instaura dunque un circolo vizioso dove l’ingestione di piume peggiora i processi digestivi, con alterazione della peristalsi e l’infiammazione della parete intestinale. Si è visto che questi comportamenti negativi possono già svilupparsi nel periodo di svezzamento della pollastra e, se non gestiti correttamente all’esordio, possono cronicizzare, peggiorando la qualità del ciclo.

Condizioni ambientali: lettiere umide, impianti alternativi (ad esempio voliere, dove la garanzia nel rispettare corretti parametri ambientali è più difficoltosa rispetto a impianti a terra classici), ventilazione carente e/o non corretta, gestione inadeguata delle distribuzioni del mangime durante la giornata con conseguente selezione alimentare predispongono a stati infiammatori intestinali cronicizzanti.

Biosicurezza: buone pratiche di profilassi, igiene, pulizia e disinfezione (soprattutto durante il periodo di vuoto biologico-sanitario) contribuiscono alla diminuzione della carica batterica/virale ambientale, diminuendo così i rischi di fenomeni infiammatori e/o patologici.

Aspetti clinici e diagnostici

Il quadro clinico di un processo infiammatorio cronico intestinale si manifesta con una sintomatologia aspecifica e di varia natura: gli animali si presentano con un piumaggio più scadente e arruffato, creste inizialmente flosce, poi pallide e più piccole, feci diarroiche (catarrali, a tratti schiumose, con materiale rossastro mucoso dovuto a cellule di sfaldamento della mucosa intestinale, di un colore arancio-rossastro), piume imbrattate a livello cloacale, possibile aumento di mortalità (dovuto all’instaurarsi di complicanze batteriche secondarie e/o parassiti), perdita di peso corporeo con sterno prominente, diminuzione della quota di grasso corporeo, riduzione o aumento di consumi (ciò dipende dalla causa e/o dalla fase del processo), cali di deposizione e qualità delle uova (sia in termini di resistenza e peso, sia di colore del guscio) e aumento in generale delle conversioni. Nelle feci, inoltre, può essere rilevato del materiale indigerito, dovuto a un malassorbimento, e un forte odore, dovuto a processi fermentativi anomali.

Il quadro anatomico-patologico nella maggior parte dei soggetti descrive

  • esternamente: scarse condizioni corporee, colore più pallido a livello di cute e annessi cutanei, diversi gradi di disidratazione, atrofie muscolari, soprattutto a livello dei muscoli pettorali, diminuzione/assenza di grasso corporeo, fragilità ossea;
  • a livello organico: enteriti di varia gravità e aspetto (dal siero-catarrale al fibrino-necrotico), con infiammazioni più o meno evidenti della mucosa intestinale, fermentazioni anomale che si traducono in alterazioni di volume e peristalsi di alcuni tratti intestinali (fenomeni di ballooning), mancanza di elasticità e assottigliamento della parete (che tende a diventare quasi trasparente), contenuto mucoso, liquido, a volte emorragico, con presenza o meno di materiale indigerito nel tratto distale, alterazioni patognomoniche (ad es. coccidiosi);
  • a livello degli stomaci si potrebbero rilevare fenomeni infiammatori e/o ulcerativi a carico delle pareti ghiandolare e/o muscolare (anche bruciature della coilina stessa);
  • unitamente a questo quadro potrebbero essere presenti anche aerosacculite e processi necrotici a carico dei femori (fenomeni di contiguità dall’intestino), con conseguente sviluppo di forme respiratorie e/o setticemiche, atrofia/regressione ovarica.

A livello diagnostico possono venirci incontro, per escludere e/o trattare fattori concomitanti di natura patologica, l’esame coprologico delle feci (per la ricerca di parassiti intestinali), esami microbiologici (batteriologico, virologico), esami istologici, PCR. Inoltre, per un corretto controllo analitico a livello di micotossine, può risultare utile affidarsi a delle tecnologie più recenti, come l’utilizzo dei biomarker sanguigni: ciò costituisce uno strumento interessante per “fotografare’’ e misurare, durante il ciclo produttivo della gallina, i diversi livelli di metaboliti delle micotossine presenti a livello del circolo ematico, costruendo un panel dettagliato con un range di valori, per categorizzare il rischio potenziale a cui i gruppi di animali sono esposti.

Strategie per la modulazione del processo infiammatorio

La fase acuta del processo costituisce una risposta “normale’’ ai diversi insulti a cui le galline ovaiole sono sottoposte durante il loro lungo ciclo produttivo: è però stato dimostrato come, se non modulati a dovere, questi meccanismi tendano a far cronicizzare il processo, esitando in fenomeni negativi. L’adozione di diverse strategie per il controllo dei processi infiammatori acuti passa dal concetto di prevenzione, in tal modo si cercano di utilizzare sistemi efficaci per la riduzione del rischio di sviluppare questi quadri, soprattutto nei gruppi più sensibili; perciò si dovrebbe partire con l’analisi dei dati e della storia d’allevamento: performance, anamnesi passata e recente degli animali e dell’ambiente (provenienza, performance produttive, problematiche, vuoto sanitario, biosicurezza, ecc.), stagione ed alimentazione. In questo modo si cerca di avere a disposizione tutti i dati necessari per comprendere il livello di rischio a cui gli animali sono/potrebbero essere esposti e studiare le modalità d’intervento tramite l’adozione di strategie tecnico-sanitarie e diverse soluzioni per l’acqua da bere e/o per il mangime, presenti attualmente sul mercato.

Tra queste spiccano i prodotti a base di estratti vegetali, costituiti da uno o più fitocomplessi (insieme di fitomolecole, i composti attivi) che agiscono in maniera diversa: è stato visto che i prodotti a base di carvacrolo (contenuto nelle piante di origano e timo), ad esempio, possiedono proprietà antimicrobiche e antiossidanti (Botsoglu et al., 2002) oltre che antinfiammatorie e immunostimolanti (Acamovic e Brooker, 2005). I derivati dell’acido salicilico (polifenoli) esercitano azioni antinfiammatorie, antipiretiche e analgesiche, riducendo la formazione di PGE2 (prostaglandine) pro-infiammatorie (IL-6) e l’attività del NFkB, aumentando la formazione di quelle con azione antinfiammatoria (IL-10). La liquirizia (Glycirrhiza glabra) possiede proprietà antinfiammatorie, antivirali e antibatteriche, così come i prodotti contenenti un’elevata quantità di tannini, che inibiscono la formazione dell’enzima ciclossigenasi e quindi una riduzione della formazione di prostaglandine pro-infiammatorie.

Probiotici e prebiotici influenzano la flora intestinale in maniera positiva, apportando nutrimento per le popolazioni batteriche presenti e/o introducendo microorganismi favorevoli (ad esempio lattobacilli, che inibiscono la secrezione di IL-6 pro-infiammatoria). Oltre a una stimolazione del sistema immunitario, a un aumento indiretto del coefficiente di digeribilità apparente e alla prevenzione della colonizzazione da patogeni, essi contribuiscono alla riduzione delle reazioni infiammatorie (Jha et al., 2020). Curiosamente è stato visto come i gruppi di ovaiole con alti livelli di reattività (risposta alla paura) risultino più sensibili dal punto di vista immunitario e abbiano un microbiota più ricco: fattori che potrebbero avere effetti positivi nell’adattamento ad ambienti più complessi, come i sistemi in voliera (Wang et al., 2024).

Il ruolo degli enzimi nel promuovere un’utilizzo efficiente dei nutrienti è ormai comprovato. Uno tra gli effetti maggiormente visti è quello di ridurre la quantità di composti non digeribili della dieta, diminuire la viscosità delle digesta e delle irritazioni alla mucosa enterica che causano processi infiammatori enterici cronici. Un altro vantaggio nell’utilizzo, oltre che quello puramente economico a livello di formulazione, risiede nello sviluppo di una diversità microbica che aiuta a mantenere un ambiente stabile a livello intestinale e, di conseguenza, un’inibizione dello sviluppo di agenti patogeni (Kiarie et al., 2013). A questo contribuiscono anche gli acidi organici, riducendo il pH dell’acqua e facilitando la digestione dei nutrienti: in particolare, l’acido butirrico, oltre a essere una fonte energetica per gli enterociti, risulta essere un mediatore cellulare che contribuisce alla regolazione di diverse funzioni intestinali, nella modulazione del sistema immunitario e nella riduzione dello stress ossidativo.

Alcune micotossine predispongono l’ambiente intestinale a processi di tipo infiammatorio perché aumentano la persistenza di alcuni patogeni, diminuendo la funzionalità di barriera dell’intestino e contribuendo a un effetto ossidativo, tramite la formazione di radicali liberi. È stato visto che l’irrancidimento dei grassi è legato alla patogenesi delle patologie enteriche (Collet, 2005), per cui l’utilizzo di prodotti attivi contro le micotossine e antiossidanti aiutano nel ridurre questi processi negativi.

Un futuro virtuoso: la riduzione dell’uso di antibiotici e la longevità ‘100’ del ciclo produttivo

Livelli allarmanti di resistenza all’utilizzo degli antibiotici sono stati riportati in diverse nazioni del mondo; ciò è prevalentemente legato a un uso incontrollato degli stessi, con il conseguente sviluppo di patogeni con elevata resistenza ai farmaci antimicrobici. Un precoce ed efficace controllo delle problematiche intestinali, legate a dei processi infiammatori cronici, permette di diminuire gli episodi patologici correlati (ad esempio enteriti necrotiche da clostridi) e, di conseguenza, l’utilizzo di farmaci antibiotici in terapia. In conclusione, è necessario sottolineare come un approccio olistico di gestione dell’infiammazione intestinale dovrebbe comprendere modifiche nella nutrizione, nelle pratiche d’allevamento e l’utilizzo di alternative all’antibiotico, come i fitogenici, per garantire il benessere dell’animale, la salute intestinale (evitando potenziali patologie correlate) e la sostenibilità economica della produzione, aiutando i gruppi di galline ovaiole nell’obiettivo di raggiungere, senza particolari impedimenti, le fatidiche 100 settimane di ciclo produttivo.