È stato pubblicato a marzo l’ultimo rapporto Ismea sulle tendenze delle uova da consumo. Curato dalla Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale e redatto da Paola Parmigiani, il rapporto fornisce un’analisi approfondita dello scenario produttivo dello scorso anno.
Nel 2020 nell’Unione Europea sono state stimate 366 milioni di galline ovaiole per una produzione annua di circa 7 milioni di tonnellate di uova: di queste, circa 6,1 milioni di tonnellate sono destinate al consumo fresco, mentre le restanti sono “uova da cova”. In questo quadro l’Italia si conferma il quarto produttore europeo, dopo Francia, Germania e Spagna, e le stime per il 2021 sono ottimistiche, con la previsione di un piccolo incremento della produzione (0,7%).
Sul fronte delle tipologie di allevamento, in risposta alle richieste sempre più pressanti dei consumatori europei, nel 2012 la normativa europea ha abolito gli allevamenti in batteria indirizzando la produzione verso le gabbie arricchite. Ma nonostante la spinta verso un progressivo maggiore spazio a disposizione dei capi allevati, ancora oggi di tutte le uova comunitarie circa la metà ancora proviene da allevamenti in gabbia (Grafico 1). Il 32% degli allevamenti europei è, invece, “a terra”, mentre il 18% si trova in allevamenti con annessi spazi all’aperto.
All’aumento della produzione in ambito europeo nel 2020 è corrisposto un ridimensionamento dei prezzi medi che ha interessato tutti i gli Stati Membri, ma i prezzi medi delle uova italiane sono, insieme a quelli austriaci, i più elevati d’Europa, con livelli al di sopra della media europea del 43%.
Galline italiane sempre meno in gabbia
La produzione italiana nel 2020 dovrebbe attestarsi su oltre 12,6 miliardi di uova, pari a circa 796 mila tonnellate di prodotto. La produzione nel 2020 è stata garantita da 41 milioni di galline ovaiole accasate in oltre 2.600 allevamenti, di cui 1.444 di grandi dimensioni, cioè con più di mille capi. Il 75% del patrimonio animale è concentrato nel Nord Italia, soprattutto in Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna. Secondo i dati registrati in Anagrafe Nazionale, nel 2020 il 49% dei capi in deposizione è allevato “a terra”, il 42% in allevamenti con “gabbie arricchite”, il 4% in allevamenti all’aperto e il 5% in allevamenti biologici.
In Italia è da tempo in corso un processo di graduale contrazione dell’offerta di uova provenienti da allevamenti in gabbie arricchite (Tabella 1) e lo dimostrano i dati del 2020: la quota nazionale di uova provenienti da questo tipo di allevamento (42%) è infatti largamente inferiore alla media europea (49,5%), e in contrazione del 41% rispetto al 2011 quando, in assenza di una normativa specifica, l’allevamento in gabbie rappresentava il 71%. La percentuale di allevamenti in gabbie arricchite in Italia nel 2020, risulta in riduzione anche nel confronto con l’anno precedente, quando era del 45%. Rimangono invece meno del 10% i capi che passano parte della giornata all’aria aperta, contro una media europea del 18%.
I capi allevati all’aperto sono circa tre milioni e mezzo e quasi due milioni di questi sono certificati come biologici, allevati quindi in maniera estensiva e alimentati esclusivamente con mangimi biologici. La regione più bio è l’Emilia-Romagna, alla quale segue il Lazio.
Oltre la metà degli allevamenti presenti sul territorio nazionale è di grandi dimensioni, con una capienza superiore a 1.000 capi, mentre sono solo il 9% ha una dimensione compresa tra 250 e 1.000 capi (Grafico 2).
I consumi domestici nel 2020
L’Italia è sostanzialmente autosufficiente nella produzione di uova, producendone un quantitativo adeguato a coprire l’intero fabbisogno nazionale. I dati del bilancio di approvvigionamento hanno fatto registrare un incremento del consumo pro-capite nazionale annuo, che diventa di 13,8 kg, corrispondente a circa 219 uova all’anno, fra consumo diretto e indiretto, (circa il 40% del prodotto è utilizzato nell’industria alimentare sotto forma di ovo-prodotti).
Il consumo pro-capite del 2020 risulta essere il più elevato dell’ultimo quinquennio. Lo scorso anno il valore delle vendite di uova nei canali della Distribuzione Moderna (Iper, Super, liberi servizi e Discount) ha superato i 904 milioni di euro, segnando un nuovo importante incremento rispetto al fatturato del 2019 (+ 13,6%): sono cresciuti in maniera consistente i volumi venduti (+12,5%), che hanno superato la quota di 3,98 miliardi di uova.
Se il 2020 è stato un anno difficile per molte filiere, lo stesso non si può dire per il comparto uova, che ha addirittura ottenuto risultato migliori degli anni precedenti. I punti di forza che hanno avvantaggiato questa filiera sono riconducibili al fatto di essere da sempre un prodotto di alto valore nutritivo e di basso costo, e quindi accessibile a tutti anche in periodi di ristrettezze economiche, oltre che di estrema flessibilità nell’uso casalingo, come ingrediente o come alimento a sé. Inoltre le uova sono riconosciute come un alimento sano ed equilibrato, per questo particolarmente apprezzato, sono di facile conservazione, e sono state protagoniste nella cucina delle famiglie italiane durante il periodo di forzata permanenza in casa.
Bisogna anche considerare che l’uovo, provenendo da un sistema produttivo autosufficiente, non sconta le problematiche legate alla dipendenza da altri mercati, condizione questa rivelatasi particolarmente importante in periodo di pandemia. Tutti questi fattori sono stati determinanti per orientare il mercato.
Le richieste dei consumatori
Il settore delle uova è uno di quelli in cui il fattore etico sta modificando radicalmente i comportamenti d’acquisto dei consumatori. Coloro che si dimostrano attenti al rispetto delle condizioni di vita degli animali sono sempre più numerosi e per questo molte aziende tendono a realizzare pratiche di gestione degli allevamenti sempre più rigorose e innovative, in particolare per quanto riguarda il benessere animale. Le richieste dei consumatori guidano anche gli assortimenti della distribuzione: il consumo delle uova provenienti dalle galline allevate nelle cosiddette “gabbie arricchite” sta evidenziando negli ultimi anni un declino inarrestabile. Diverse insegne della grande distribuzione hanno deciso di assecondare la sensibilità dei propri clienti, interrompendo o diminuendo drasticamente la commercializzazione di questa tipologia di uova.
Nel 2020 risulta ancora più accentuata la tendenza delle vendite per le 4 differenti referenze, individuate in base alla tipologia di allevamento da cui provengono. I dati relativi alle vendite nella distribuzione moderna parlano chiaro: le uova da allevamento a terra detengono la quota principale (60%) e anche la più dinamica, hanno infatti incrementato i volumi del 21% rispetto al 2019. Inoltre c’è grande interesse per le uova provenienti da allevamenti all’aperto che, pur rappresentando ancora una piccola fetta nella distribuzione moderna (solo il 3%), hanno registrato nel 2020 incrementi del 13,4% rispetto al 2019. Le uova certificate biologiche mantengono il 10% dei volumi esitati, mostrando incrementi del 4% rispetto al 2019; mentre per le uova provenienti da allevamenti in gabbie arricchite (che rappresentano ancora il 27% dell’offerta al consumo) si è registrata una flessione delle vendite in volume dello 0,7%, a fronte dell’aumento generale delle vendite del 12,5%.
Prezzi al dettaglio e volatilità dei prezzi dei mangimi
Nel 2020 il canale di vendita nel quale sono state vendute più uova confezionate resta il supermercato (oltre il 39%) ed è anche il più dinamico con un incremento dei volumi del 14,9% rispetto al 2019. Incrementi di volume si sono registrati anche negli ipermercati (+9,3%) dove sono state vendute il 21% delle uova vendute. Incrementi nei volumi venduti anche nei liberi servizi (+10%) dopo il -0,5% dello scorso anno; continuano ad espandere la loro quota i discount (passando dal 28 al 29%), in questo canale sono transitate nel 2020 oltre 1,13 miliardi di uova, per un volume incrementato del 12,7% rispetto al 2019.
I prezzi al consumo delle uova restano nel corso degli ultimi tre anni sostanzialmente stabili, con il differenziale tra il prodotto biologico e il convenzionale da allevamento in gabbia pari a +119%. Più movimentata la situazione a monte della filiera: nei centri di imballaggio i prezzi delle uova di categoria “M” hanno registrato un netto recupero a inizio pandemia (+28% nel mese di aprile), per poi scendere sotto i livelli di inizio anno perdendo nel corso dei mesi il recupero accumulato nei mesi primaverili, fino a finire, nel mese di dicembre, al di sotto del livello dell’anno precedente.
Infine, una componente che preoccupa gli allevatori è quella relativa alla volatilità dei prezzi dei mangimi semplici: gli ultimi dati relativi all’indice degli input produttivi indicano infatti per l’inizio del 2021 un incremento dell’indice di 5 punti percentuali rispetto al gennaio del 2020.
Fonte: Ismea – Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale