In questa prima parte dell’articolo vengono analizzate gli orientamenti globali di mercato per poi passare ai progressi nelle formulazioni dietetiche a uso avicolo, con particolare riguardo alla sostenibilità produttiva.
La produzione globale di carni avicole dovrà raddoppiare entro il 2050 per poter soddisfare la richiesta di proteine di una popolazione mondiale in crescita, ma come si potrà produrre una maggior quantità di carne rispettando le mutevoli richieste del consumatore e tutelando al contempo le sempre più limitate risorse del pianeta?
Il consumatore desidera una carne di pollo che sia prodotta in modo sostenibile e il settore avicolo ha le capacità per rispondere in modo adeguato a tale richiesta. I genotipi continuano a migliorare, si evolvono anche i metodi di produzione, i modelli di sviluppo, la nutrizione e la cura della salute animale. Il settore deve saper offrire prodotti alternativi, ottimizzando i processi produttivi e facendo uso della tecnologia più avanzata.
Nei prossimi anni l’attenzione del consumatore sarà prevalentemente incentrata sulla sostenibilità: ovvero soddisfare le richieste delle generazioni attuali senza compromettere le risorse per i bisogni di quelle future. Sostenibilità è un concetto dalle molte sfaccettature: ambientali, sociali ed economiche; misurarla è quindi difficile, poiché ogni valutazione dipende dal parametro utilizzato e spesso ci si arriva solo con il senno di poi. Raggiungere tutti gli obiettivi in un settore porta facilmente a trascurarne altri e ciò rappresenta una vera e propria sfida sia per i produttori che per il legislatore. I sistemi di produzione alternativi, come all’aperto e biologico, hanno migliorato il benessere degli animali solo in apparenza, mentre comportano maggiori costi e perdite a livello ambientale.
Gli orientamenti dei consumatori possono variare molto di Paese in Paese: in quelli industrializzati i cittadini benestanti consumano carne avicola prodotta dalle aziende integrate in filiere ben organizzate, dal produttore al supermercato fino al Food Service; in altri invece la situazione è ben diversa, dato che in tutto sono circa 2,5 miliardi le persone che dipendono da piccoli allevamenti per il proprio sostentamento e sicurezza alimentare. Questi allevatori non hanno accesso alle catene di approvvigionamento, non ricevono contributi o supporto per la vendita dei loro prodotti. In molti Paesi il consumo di carne resta un’aspirazione e quella avicola diventa una componente proteica importante della dieta.
La maggior parte dei consumatori desidera un cibo economico, sano e di alto livello proteico. Al settore è pertanto richiesto di soddisfare ogni tipo di richiesta in vari mercati, senza mai perdere di vista la sostenibilità.
Sostenibilità e richiesta del mercato
La sostenibilità non è una singola entità e neppure si può scegliere quale aspetto si adatti meglio alle nostre esigenze. Dal punto di vista ambientale, la sostenibilità impatta sull’intera filiera avicola, causando inquinamento e degrado ecologico.
Gli aspetti sociali della sostenibilità riguardano il benessere umano e animale. Le indicazioni riguardo le 5 libertà fondamentali previste per il benessere animale andrebbero rispettate sempre e lo stesso riguardo dovrebbe essere posto per la salute umana e per il benessere degli allevatori.
La maggior parte dei consumatori è attenta al proprio benessere e pensa di ottenerlo soprattutto con prodotti “naturali”. Anche il fattore della sostenibilità finanziaria rappresenta un’ulteriore chiave fondamentale per tutti i sistemi produttivi.
Dal punto di vista nutrizionale tutti gli aspetti della sostenibilità dovrebbero essere allineati: più i polli utilizzano il mangime in maniera efficiente, più facili diventano gli interventi alimentari, con una significativa riduzione dell’impronta carbonica e un minor spreco di risorse. Una nutrizione appropriata migliora anche il benessere dei polli.
La sicurezza alimentare è maggiormente garantita nei sistemi di allevamento convenzionali, ma tale punto di vista non è condiviso dal consumatore. L’opinione pubblica ritiene che la produzione biologica offra un cibo naturale, sano e sostenibile, mentre considera gli allevamenti intensivi e l’uso di medicinali cattive pratiche. Molte di queste idee sono basate sulla disinformazione, spesso a causa dello stesso settore di produzione che utilizza da anni termini come “senza ormoni” o “senza antibiotici” o “allevato all’aperto” come puri slogan commerciali. Il pericolo che il consumatore assuma residui medicinali pericolosi mangiando carne avicola, o che l’uso di questi farmaci incrementi l’antibiotico-resistenza è, di fatto, più una percezione che una realtà. Ma è assodato che se non si va incontro alla richiesta del consumatore, la domanda cala e i prodotti restano invenduti. Ciò è avvenuto in Norvegia, per esempio, dove è stato vietato l’uso di ionofori in allevamento; il calo nelle vendite di carne avicola ha convinto il settore a non utilizzarli più, su base volontaria, in tutti i mangimi per avicoli.
I sistemi di produzione alternativi comportano una maggiore pressione sull’ambiente rispetto a quelli convenzionali. Pertersen stima che se solo un terzo del settore avicolo negli Stati Uniti adottasse razze a lenta crescita, occorrerebbero oltre 3 milioni di ettari all’anno in più per sostenere questo tipo di allevamento a livello di materie prime; inoltre un’industria avicola antibiotic-free su larga scala aumenterebbe l’impronta carbonica.
Le persone diminuiscono la quota di alimenti derivati del grano, mentre cresce il consumo di prodotti a base di carne. Fra i vari tipi di carne quella di pollo è sicuramene la più favorita sul mercato per la disponibilità e il prezzo accessibile. L’approccio innovativo del settore avicolo nello sviluppo di nuovi prodotti ha portato a un incremento della domanda, in particolare di prodotti specifici che hanno maggiori garanzie sia qualitative che sanitarie, almeno secondo la percezione del consumatore. È quindi probabile che in futuro cresca la richiesta di prodotti avicoli con caratteristiche specifiche di qualità e sicurezza, probabilmente legate al miglior benessere economico e al maggior potere di acquisto. In sostanza, ci si aspetta che il settore produca più alimenti diversificati e in modo sostenibile senza usare le tecniche impiegate in precedenza, mantenendo però gli stessi profitti.
Rispetto ad altri fattori, prestazioni di crescita migliori e un’ottimizzazione dell’efficienza alimentare avranno un notevole impatto sulla sostenibilità: basti pensare che la conversione aumenta di 2 punti all’anno nel pollo: con un semplice calcolo, un pollo di 2 chili, da qui a 10 anni, avrà bisogno di 500 grammi in meno di mangime. Ciò ridurrà l’impatto ambientale e renderà la produzione avicola economicamente più vantaggiosa. In breve, il pollo è una carne più sostenibile rispetto alle altre.
Migliore utilizzazione del mangime
L’uso di additivi arricchisce la nutrizione degli animali grazie a formulazioni che coinvolgono substrati della dieta: enzimi esogeni e prodotti dalla microflora intestinale che vengono aggiunti al mangime. In futuro bisognerà analizzare la complessità delle correlazioni tra pollo, microflora del tratto gastrointestinale (GIT) e dieta, inclusi gli additivi utilizzati.
Migliorare l’utilizzazione dei nutrienti richiede molto più che ottimizzare la digeribilità, dato che in un mangime tipico per avicoli restano inutilizzati circa 400 kcal di energia, il 79% del fosforo e dal 10 al 20% degli amminoacidi essenziali presenti. In questo contesto, i substrati indigeribili rappresenterebbero una risorsa per il nutrizionista. Gli enzimi esogeni aumentano la digestione dei substrati, ma spezzano anche alcuni fattori antinutrizionali che sono presenti nelle diete, inattivandoli. Ciò riduce l’infiammazione e migliora l’assunzione dei nutrienti. Gli enzimi evitano che alcuni nutrienti sfuggano alla digestione e riescono a trasformali in una fonte di nutrimento preziosa per la flora intestinale.
Un pollo con un sistema digerente sano, funzionante e una microflora stabile, utilizza la sua dieta in maniera più efficiente, con un conseguente miglioramento della digestione. Un gozzo ben sviluppato migliora l’utilizzazione dell’energia. I nutrienti non digeriti rappresentano una fonte di nutrimento per la microflora intestinale e possono indurre una modifica dei batteri proteolitici, che sono possibili portatori di enterite.
Proteine
I genotipi moderni richiedono più proteine e meno energia per unità di crescita rispetto ai predecessori. L’efficienza di utilizzo delle proteine difficilmente varia, ma in proporzione ci vogliono meno proteine per il mantenimento e più per produrre carne, come quella del petto. Le proteine avranno limiti maggiori in futuro rispetto all’energia e probabilmente il loro costo aumenterà. In qualsiasi caso la maggiore efficienza di produzione del pollo consentirà al settore avicolo di usare proteine più costose rispetto a quelle meno efficienti della concorrenza.
Alti livelli di proteina grezza (CP) nelle diete per avicoli rappresentano un peso per l’ambiente. I polli che consumano diete ad alto contenuto proteico producono infatti più azoto (N) e ammoniaca. L’ammoniaca viene emessa dalla lettiera ed è dovuta alla decomposizione delle proteine non digerite e all’acido urico presente; è responsabile dell’inquinamento dell’acqua (eutrofizzazione) e
dell’acidificazione dei terreni. Per quanto riguarda l’azoto, la normativa europea ha posto dei limiti ai livelli presenti nelle lettiere avicole. In questo contesto risulta quanto sia importante attuare un’alimentazione proteica precisa per la sostenibilità delle produzioni avicole, per esempio occorre evitare di somministrare nutrienti di difficile digeribilità che rappresentano un danno per la salute intestinale e che incrementano il rischio di contrarre malattie. Ridurre la proteina grezza nella dieta è una strategia con risvolti positivi, sia economici che ambientali, ma richiede l’uso di enzimi e di amminoacidi o semplicemente una riduzione delle specifiche alimentari.
Alhotan e Pesti (2016) sottolineano l’importanza di soddisfare i requisiti di aminoacidi non essenziali, dimostrando che i fabbisogni per la crescita e per la conversione del mangime sono diversi, ma esiste un rapporto ideale tra il livello di aminoacidi della dieta e il suo contenuto proteico reale (TP). In pratica, le proteine nella dieta possono essere ridotte al punto da compromettere le prestazioni. Belloir et al. (2017) hanno valutato l’impatto della riduzione della CP nella dieta di broiler (Tabella 1). Il rapporto fra conversione del mangime (FCR) e resa in carne del petto risulta ridotto nelle diete a basso contenuto proteico, mentre aumenta il grasso addominale. Anche i dati sull’utilizzo sono piuttosto interessanti: l’efficienza di ritenzione dell’azoto (N) aumenta con una riduzione della proteina grezza (CP). Ogni riduzione proteica dell’1%, in formulazioni tra il 19 e il 16% di CP, contribuisce a ridurre l’escrezione di azoto del 13%, con benefici anche sull’umidità della lettiera.
Evonik (2017) ha illustrato le perdite produttive conseguenti all’uso di diete a basso contenuto proteico (Tabella 2). I polli da carne di oggi sono altamente sensibili a un aumento del livello di proteine in termini di peso corporeo, indice di conversione (FCR) e resa in carne del petto. Tale effetto sembra dipendere dal contenuto energetico nelle diete.
Livelli proteici più elevati portano a rese migliori e a una migliore efficienza alimentare; chiaramente è necessario un compromesso. Sappiamo che gli avicoli rispondono positivamente a una maggiore quantità di proteine nella dieta, ma dal punto di vista ambientale ciò rappresenta un fattore da evitare. – Fine della prima parte
La bibliografia è disponibile su richiesta
Dagli Atti dell’Australian Poultry Science Symposium