Ammoniaca: da problema a risorsa

Pier Enrico Rossi - Medico Veterinario

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Secondo dati recenti in Italia gli allevamenti intensivi producono il 75% delle emissioni di ammoniaca, a cui bisogna aggiungere ossido di azoto e metano. Questi dati hanno spinto l’Unione europea ad approvare la revisione della Direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali (IED), con cui gli allevamenti intensivi sono stati equiparati agli impianti industriali per le emissioni di ammoniaca e metano, salvando in extremis gli allevamenti bovini, ma solo fino al 2026.

 La nuova normativa obbliga i settori interessati a fissare livelli di emissioni nocive molto più stringenti rispetto a quelli attuali e interessa in particolare gli allevamenti di suini con più di 350 unità[1] (circa 1200 maiali). Per il settore avicolo la direttiva si applica alle aziende con galline ovaiole superiori alle 300 unità (più di 2100 galline) e alle aziende con polli da carne con oltre 280 unità (40.000 broiler). Per le aziende che allevano pollame e suini, il limite sarà 380 unità complessive. Pesanti le sanzioni per le aziende che non si adegueranno, con la possibilità per i cittadini danneggiati di chiedere risarcimenti per danni alla salute, sulla base delle norme stabilite da ciascuno Stato.

Azoto, quando è diventato un problema

L’industrializzazione della zootecnia ha sicuramente apportato notevoli benefici alla popolazione permettendo un’alimentazione completa e riducendo i rischi di carenze alimentari, ma portando al contempo a un eccesso di azoto rilasciato nell’ambiente tramite le deiezioni degli animali. Tutto è cominciato con la rivoluzione industriale: fino ad allora l’agricoltura non aveva subìto cambiamenti praticamente dall’era medioevale, si concimava con le poche deiezioni degli animali disponibili, si provvedeva all’intercalare delle colture con il sovescio e la messa a riposo di parte del terreno. Solo nel XIX secolo si è cominciato a sfruttare il guano del Cile e del Perù e il nitrato proveniente dal deserto dell’Atacama.

Durante la prima guerra mondiale il blocco navale inglese che impedì l’arrivo del nitrato cileno in Germania (il nitrato, oltre che come fertilizzante, veniva infatti impiegato nella produzione di esplosivi bellici), insieme alla consapevolezza che il guano si sarebbe esaurito entro la prima metà del Novecento, spinse la ricerca a trovare soluzioni per la sintesi chimica di composti azotati.

La ricerca si concluse nel 1915 grazie al processo Haber-Bosch, per il quale due chimici tedeschi, Fritz Haber e Carl Bosch, ricevettero il Nobel per la chimica nel 1918 per essere riusciti a sintetizzare l’ammoniaca partendo dall’acqua e dall’azoto atmosferico. Fritz Haber, chimico di origine ebraica, alla consegna del Nobel fu pesantemente contestato da una parte del mondo accademico, perché durante la prima guerra mondiale mise a punto i primi gas tossici (gas mostarda, iprite) usati dai tedeschi contro le trincee avversarie, dove procurarono la morte di oltre 5000 soldati in 10 minuti. Inoltre, negli anni ’30 Haber fu il responsabile della creazione dello Zyclon B, un disinfestante in grado di debellare i pidocchi. Il chimico morì nel 1934, senza sapere che nel 1943 i nazisti avrebbero usato lo Zyclon B nelle camere a gas per sterminare gli ebrei.

L’azoto è l’elemento maggiormente presente nell’atmosfera, ma è un gas inerte: può reagire con l’idrogeno solo ad alte temperature e sotto forte pressione, cosa che accade in natura grazie all’azione dei fulmini. Il merito di Haber e Bosch è di avere trovato un catalizzatore a base di ferro in grado di velocizzare questa reazione, che tra l’altro è fortemente energivora: basti pensare che la produzione di una tonnellata di ammoniaca produce due tonnellate di anidride carbonica. Nel 2021 nel mondo ne sono state prodotte 180.000.000 milioni di tonnellate con un conseguente rilascio di 360.000.000 di tonnellate di  anidride carbonica in atmosfera, la stessa quantità rilasciata in un anno dall’industria aereonautica!

L’ammoniaca ha rappresentato il primo passo per la successiva produzione di urea, che ha consentito l’industrializzazione dell’agricoltura e il cui impiego ha permesso la produzione di foraggi e materie prime (soia, girasole, cereali) in quantità tali da permettere la nascita dell’industria mangimistica e l’industrializzazione delle produzioni zootecniche.

L’urea tal quale la troviamo come fertilizzante o anche associata a fosforo e potassio; è presente in integratori per l’alimentazione dei ruminanti e ultimamente è apparsa miscelata al 30% in acqua per depurare i fumi di combustione dei motori a gasolio.

Negli ultimi 20 anni ci si è resi conto che l’urea utilizzata come concime viene persa a causa della sua degradazione ad opera dell’ureasi, enzima prodotto da particolari batteri tellurici. Per questo motivi adesso si trovano in commercio fertilizzanti a base di urea, associati a diversi composti inibitori dell’ureasi.

Produzione e rilascio di ammoniaca

Se è vero che è grazie all’urea che è nata l’industria zootecnica, è pur vero che l’allevamento intensivo ha portato a una produzione massiccia di composti azotati rilasciati nell’ambiente. Tutti gli animali durante il loro ciclo vitale nel loro accrescimento trasformano gli alimenti attraverso la digestione in proteine e grassi (carne, uova e latte), rilasciando feci e urina. Le feci contengono tutti i residui della digestione, mentre le urine contengono le scorie del catabolismo principalmente proteico: dal catabolismo degli amminoacidi si forma come molecola finale l’ammoniaca, sostanza molto tossica che l’organismo animale tende a neutralizzare ed eliminare il più rapidamente possibile attraverso l’escrezione renale.

Il rene è un organo che non è deputato al rilascio dell’acqua: al contrario la sua funzione è proprio quella di risparmiare acqua, riassorbendola, pertanto l’escrezione dell’ammoniaca dipende dalla quantità di acqua che l’animale ha a disposizione. Gli animali si distinguono in ammoniotelici, ureotelici e uricotelici: la differenziazione si basa sulla disponibilità di acqua che essi utilizzano per diluire i loro prodotti azotati. Appartengono agli ammoniotelici i pesci, che possono eliminare lo ione ammonio attraverso le branchie e tramite l’apparato urinario, mediante il rene che fa defluire l’urina direttamente in una cloaca (non è presente la vescica) per essere eliminata all’esterno insieme alle feci. Gli animali ureotelici (mammiferi) trasformano l’ammoniaca in urea a livello epatico; questa può in parte tornare all’apparato digerente tramite la saliva (circolo entero-salivare dei ruminanti) e in parte essere eliminata con l’urina. Infine gli animali uricotelici (uccelli) trasformano l’ammoniaca in acido urico che viene eliminato dal rene attraverso l’uretere direttamente in cloaca (anche negli uccelli la vescica è assente), per poi essere eliminato insieme alle feci.

Che si tratti di ammonio, urea o acido urico, queste molecole rilasciate nell’ambiente vengono trasformate a opera dei batteri presenti in ammoniaca e successivamente ossidate a nitriti e a nitrati, che sono responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere e dell’eutrofizzazione delle acque superficiali.

Soluzioni e interventi in allevamento

Le direttive che avevano previsto l’adozione dell’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, per gli allevamenti di suini a partire da 2000 animali all’ingrasso o 750 scrofe e per il settore avicolo da 40.000 animali, verrà prossimamente estesa ad allevamenti più piccoli e a partire dal 2026 interesserà anche il comparto bovino. L’Autorizzazione Integrata Ambientale verrà rilasciata solo in caso di adozione da parte dell’allevatore delle migliori tecniche disponibili (MTD), che spaziano dai locali di stabulazione, alla gestione delle deiezioni e che hanno lo scopo di minimizzare le emissioni in atmosfera di ammoniaca, metano e protossido d’azoto. Inoltre queste azioni sulle deiezioni devono garantire il risultato nelle fasi di allevamento e di stoccaggio fino allo spandimento: un percorso non facile, che occorre perseguire non solo per motivi legislativi, ma anche come impegno civile di tutela dell’ambiente e garanzia del benessere animale.

L’alimentazione di precisione, mirata a un accurato apporto azotato tramite l’impiego di amminoacidi essenziali e non, insieme a particolari additivi, utili a ridurre l’azoto nelle urine, si è dimostrata utile ed economicamente vantaggiosa. Per ridurre drasticamente le emissioni di ammoniaca in allevamento si sta rivelando molto utile lo spargimento, nei locali di stabulazione, di sali di magnesio, dissociati in soluzione acquosa, in grado di trasformare l’ammoniaca in ione ammonio e successivamente di farlo precipitare sotto forma di struvite. La struvite è un fosfato idrato di ammonio e magnesio, che ha la caratteristica di essere scarsamente solubile, quindi precipita e rimane in questa forma sia nei locali di stabulazione che nello stoccaggio, fino allo spandimento nel terreno, dove lentamente sarà in grado di solubilizzarsi e rilasciare azoto ammoniacale, che rappresenta un ottimo fertilizzante per le colture vegetali.

Questo intervento è raccomandato in tutti gli allevamenti, ad eccezione dell’allevamento di broiler, dove il ciclo troppo breve non riesce ad innescare la reazione di precipitazione. In questo caso si è rivelato molto utile l’inoculo di bacilli non patogeni, come il Nitrosomonas e particolari ceppi di Pseudomonas: il primo è in grado di trasformare l’ammoniaca in nitriti e nitrati, mentre i secondi, ossidando i nitriti e nitrati, producono azoto molecolare inerte, da restituire all’ambiente.

[1] La livestock unit (LSU) è un’unità di riferimento che facilita in via convenzionale l’aggregazione di bestiame di varie specie ed età, mediante l’uso di specifici coefficienti stabiliti sulla base del fabbisogno nutrizionale di ciascun tipo di animale.