Integrità intestinale e infiammazione: come influisce sulla composizione del microbiota e che conseguenze ci sono sulla produzione?

F. Van Immerseel Ghent University, Faculty of Veterinary Medicine, Department of Pathobiology, Pharmacology and Zoological Medicine, Livestock Gut Health Team, Salisburylaan 133, B-9820 Merelbeke, Belgium

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Il microbiota intestinale svolge una funzione importante nella digestione e nella salute degli avicoli. Nuovi studi hanno indagato sulla funzione di metaboliti specifici nell’infiammazione intestinale, nella proliferazione delle cellule epiteliali e in genere nelle risposte fisiologiche degli animali. Tali studi hanno portato a nuove metodiche nella elaborazione delle strategie nutrizionali per salvaguardare la salute.

Gli animali da carne sono geneticamente selezionati per assimilare il mangime e sviluppare tessuto muscolare e sono quindi diversi dai loro antenati. Vengono inoltre allevati in condizioni che favoriscono la diffusione dei patogeni. L’elevata assunzione di mangime e la crescita rapida li predispongono a problemi intestinali: una condizione che è stata trascurata in passato, grazie all’utilizzo di dosaggi sub terapeutici di antimicrobici, detti promotori di crescita (AGPs), che venivano usati dappertutto, per garantire il profitto nell’industria, dato che, somministrati a basso dosaggio, miglioravano le performance.

Un primo divieto di utilizzare AGPs – richiesto soprattutto dai consumatori, che temevano l’aumento di resistenze microbiche – è stato stabilito dell’Unione europea nel 2006 e molti altri Paesi del mondo hanno seguito l’esempio, diminuendoli o vietandoli. La modalità di azione degli AGPs è ancora in discussione, ma si sono ipotizzati diversi meccanismi, tra cui la riduzione delle cariche batteriche totali a livello intestinale (e di conseguenza una minore competizione nell’utilizzo dei nutrienti), una riduzione di determinati patogeni (es. Clostridium perfringens), una diminuzione specifica di proprietà batteriche dannose (ad esempio attività idrolasica dei sali biliari e quindi minore digeribilità dei lipidi), una riduzione delle reazioni infiammatorie grazie alle minori cariche batteriche patogene. Inoltre, è stato ipotizzato l’effetto diretto immunomodulatorio degli AGPs. Qualunque sia il meccanismo di azione, è evidente che viene coinvolta l’interazione ospite-microbiota. Le interazioni del microbiota intestinale sono assai complesse, poiché l’intestino è un organo che contiene molteplici tipi di cellule, che svolgono diverse funzioni e ospita diversi microbiota, che hanno parimenti varie attività, tra cui la scissione delle molecole della dieta e di conseguenza la produzione di prodotti finali assorbibili, e la maturazione e lo sviluppo del sistema mucosale immunitario. Il termine “ecosistema intestinale” viene usato per indicare che l’intestino e il microbiota formano un organo, con funzioni specifiche, che derivano sia dal potenziale genetico del microbiota intestinale (microbioma), che dalle funzioni della parete intestinale dell’ospite. Le moderne tecnologie (tecnologie -omiche) sono state recentemente usate per capire meglio l’interazione tra ospite e microbiota: più specificamente, diversi studi che usano la sequenziazione 16S rDNA hanno condotto all’identificazione dei taxa microbici associati a risposte benefiche o dannose da parte dell’ospite, e la metabolomica è stata utilizzata per identificare metaboliti microbici che influenzano questi effetti. La produzione di metaboliti microbici può essere stimolata tramite fattori nutrizionali, rendendo così gli animali più resilienti verso problematiche sia infettive che non, con l’aggiunta di additivi al mangime.

Dal lato dell’ospite: cellule epiteliali quali principali sensori di segnale

Il lato luminale della parete intestinale è ricoperto da cellule epiteliali assorbenti, il cui scopo principale è l’assunzione di acqua e nutrienti, nonché la secrezione di enzimi. Esse formano una barriera semipermeabile tra il mondo esterno (il lume intestinale) e i tessuti interni, che non solo è formata dalle membrane delle cellule epiteliali, ma anche dalla giunzioni strette che connettono le cellule epiteliali tra loro e tali connessioni sono regolate a livelli differenti (ad esempio, dalle citochine). La permeabilità delle cellule epiteliali intestinali può essere influenzata dalle cellule epiteliali morte, ma anche da segnali di provenienza luminale che aumentano la permeabilità dello strato epiteliale influenzando le giunzioni o inducendo morte cellulare. In tal modo esse causano perdita di integrità di un’importante barriera tra il mondo esterno e quello interno, presente a livello intestinale. Quando le cellule epiteliali sono uccise o le giunzioni vengono danneggiate, alcuni patogeni opportunisti possono trarne beneficio, guadagnando accesso alla zona basolaterale delle cellule e causando infiammazione.

La perdita di nutrienti e l’infiammazione richiedono energia e causano l’accorciamento o l’accartocciamento dei villi, diminuendo le performance. La perdita di integrità intestinale può causare perdita di proteine (intestino permeabile) nel lume e consentire alle molecole nel lume (tra cui le tossine) e ai microrganismi di raggiungere la submucosa sottostante allo strato epiteliale. Se queste componenti sono dotate di proprietà proinfiammatorie, ciò può causare l’infiltrazione massiva di cellule immunitarie, che richiede ulteriore energia da parte dell’ospite. L’infiammazione viene mediata legando i patogeni associati alla conformazione molecolare (ad esempio lipopolisaccaridi, proteine peptidoglicaniche, flagelline) a recettori che trasmettono il segnale, secondo una cascata che infine conduce all’infiltrazione di cellule infiammatorie nella mucosa. Nonostante questa sia una risposta protettiva, la cascata infiammatoria dovrebbe ritornare a condizioni normali una volta che il rischio è eliminato. Inoltre, i recettori intracellulari (NOD-LIKE) possono sentire i composti batterici e indurre anche tolleranza (ad esempio nei muramilpeptidi derivati dai peptidoglicani).

A parte le cellule epiteliali assorbenti, anche altri tipi di cellule epiteliali sono presenti lungo la parete dell’intestino: tra esse includiamo le globulari e quelle che producono i peptidi antimicrobici dette cellule di Paneth (stanno nelle cripte, e non sono presenti in tutte le specie animali), che sono difese innate importanti. Le cellule entero-endocrine possono secernere gli ormoni peptidici nel lato basale delle cellule, che raggiungono il torrente ematico. Questi ormoni peptidici hanno diverse funzioni, inclusi gli effetti sulla proliferazione delle cellule epiteliali, l’infiammazione e conseguentemente l’integrità intestinale, anche su segmenti distanti dell’intestino. Un ormone chiave è il peptide simil glucagone 2 (GLP-2), un ormone che mantiene l’integrità epiteliale. Al di sotto dello strato epiteliale sono presenti diversi altri tipi di cellule che formano la lamina propria della mucosa intestinale: cellule immunitarie, fibroblasti, nervose e muscolari. L’integrità intestinale, l’infiammazione e la funzione intestinale sono influenzate tutte dai patogeni e dai loro prodotti (coccidi, tossine, batteri patogeni, virus) e dai segnali luminali, dei quali una gran parte viene prodotta dal microbiota. Le cellule sopra ricordate sentono i segnali microbici e li trasmettono ad altri tipi di cellule e ad altre parti del corpo. La composizione del microbiota e dei metaboliti prodotti dai batteri diventano così cruciali, sia per la salute che per la produttività.

Dal lato microbico: il microbiota quale produttore di segnali

La composizione del microbiota nell’intestino varia con l’età e con il segmento gastrointestinale. In generale, la diversità del microbiota aumenta con l’età. Negli animali da reddito spesso la nascita o la schiusa avvengono in un ambiente il più sterile possibile, condizione che può essere considerata sfavorevole, perché viene ritardato lo stabilirsi di una flora protettiva, pertanto i giovani sono più soggetti alla colonizzazione da parte di patogeni. In generale, si rilevano basse cariche batteriche nella parte prossimale dell’intestino, mentre esse aumentano verso la parte distale, come ileo, ceco e colon. La diversità della composizione aumenta significativamente andando verso l’intestino distale; mentre nel piccolo intestino è limitata, con i lattobacilli spesso dominanti, nella parte distale staziona un alto numero di diversi gruppi batterici. L’intestino distale dei soggetti sani è prevalentemente dominato da batteri dei phyla Bacterioidetes e Firmicutes (insieme arrivano all’80% del microbiota); mentre i primi hanno molti polisaccaridi che degradano le specie batteriche, gli altri consistono in diverse famiglie batteriche, incluse le Ruminococcaceae e le Lachnospiraceae, considerate importanti promotori delle popolazioni salubri, grazie alla produzione di butirrato. Inoltre sono presenti anche membri del phylum Proteobacteria, anche se in basse cariche. Questi includono le Enterobacteriaceae, come Escherichia coli, e altri batteri gram-negativi, che diventano patogeni opportunisti e vengono associati a effetti infiammatori nocivi.

La comunità batterica ha il potenziale genetico di avere molte funzioni fisiologiche. Il numero dei geni microbici nell’intestino, il microbioma, eccede infatti quello dei geni dell’animale e insieme ad esso forma un “ologenoma”. La varietà di funzioni batteriche include la degradazione dei substrati complessi (polisaccaridi, proteine, grassi), la fermentazione dei substrati che emettono composti acidi, l’immunomodulazione verso altri batteri, etc. I metaboliti prodotti dalla comunità batterica sono di importanza vitale nel mantenere la salute intestinale e nel controllare la colonizzazione dei patogeni. La rottura dei polisaccaridi viene attuata, da parte del microbiota, in una cascata nella quale diversi membri batterici svolgono specifici passi catalitici, nella degradazione dei digesta. Substrati complessi (come i polisaccaridi, inclusi arabinoxilani, pectine e cellulosa) vengono convertiti in oligosaccaridi da specifiche popolazioni batteriche (ad esempio lattobacilli, alcune specie di Bacteroides e altri) e questi (ad esempio gli arabinoxilanoligosaccaridi – AXOS) vengono ulteriormente utilizzati da altri gruppi batterici per produrre acidi grassi a catena corta (SCFAS, ovvero acetico, propionico e butirrico), lattati e gas. L’acido butirrico viene prodotto dalla famiglia batterica che appartiene alle Ruminococcaceae (cluster clostridico IV) e alle Lachnospiraceae (cluster XIVa). Queste famiglie contengono batteri strettamente anaerobici, che sono abbondanti nell’intestino distale. Alcune delle Lachnospiraceae consumano acido lattico per produrre acido butirrico, che è una fonte importante di energia per gli enterociti e ha una varietà di proprietà benefiche, tra cui controllo dei patogeni, effetti anti-infiammatori, aumento della mucina, produzione di peptidi antimicrobici, rafforzamento della barriera epiteliale, etc.

La fermentazione del butirrato a livello dell’intestino distale può influenzare la funzione intestinale, stimolando la secrezione di GLP-2 da parte delle cellule entero-endocrine nel torrente ematico. Questo GLP 2 ha effetti su diversi tipi di cellule del piccolo intestino e comporta effetti anti-infiammatori sull’integrità della barriera epiteliale e aumento della produzione di cellule. Tipicamente l’infiammazione viene associata alla perdita di anaerobi, inclusi quelli che producono acido butirrico, e a un aumento di batteri ossigeno-tolleranti opportunisti patogeni, come le Enterobacteriaceae, tra cui E. coli. Questo esacerba l’infiammazione, visto che diminuiscono i segnali antinfiammatori del butirrato.

Interferire con la produzione di segnali (sia batterici che dell’ospite) con interventi nutrizionali permette una risposta anti-infiammatoria

Oggigiorno viene usata una varietà di additivi alimentari sia come promotore di crescita antimicrobico, che come stabilizzante della salute intestinale. Alcuni possono inibire determinati gruppi batterici, ma la più parte indirizza la composizione del microbiota verso una situazione più favorevole e ha importanti effetti sull’ospite, sia diretti che indiretti (questi ultimi tramite il microbiota). Come sopra menzionato, la formulazione alimentare o gli additivi dovrebbero migliorare l’integrità dell’epitelio intestinale, stimolando la tolleranza verso batteri non patogeni, evitando un’infiammazione eccessiva, stimolando le risposte antibatteriche dell’ospite (produzione di mucina e peptidi antimicrobici) e portando l’ospite a uno stato di mutuo equilibrio con il proprio microbiota. Ciò significa che questi additivi alimentari o formulazioni potrebbero favorire i batteri benefici e inibire quelli che producono metaboliti tossici, oppure ridurre la colonizzazione dei patogeni, con il risultato di una riduzione delle risposte infiammatorie e un aumento delle performance animali. Vediamo in breve quali additivi alimentari influenzano la salute e l’infiammazione dell’intestino.

Composizione dellalimento ed enzimi

L’infiammazione intestinale e l’accorciamento dei villi possono essere indotte attraverso una dieta che contiene elevati livelli di polisaccaridi non amidacei (NSP), se non ci sono gli enzimi che li degradano. Gli AGPs sono capaci di invertire la risposta infiammatoria e l’accorciamento dei villi indotto dai livelli elevati di NSP nel mangime, in associazione a una variazione del microbiota. Pare che in passato l’uso di AGPs abbia mascherato l’induzione della disbiosi causata da molte formulazioni alimentari nei monogastrici. Inoltre la struttura del mangime, la fonte proteica e la scelta degli ingredienti possono influenzare la salute intestinale. Enzimi come le xilanasi convertono i grandi polisaccaridi in oligosaccaridi più corti, dando luogo a uno dei passaggi iniziali della scissione di questi substrati, come avviene nell’intestino da parte delle specie batteriche in un processo di alimentazione incrociata. Ciò riduce anche la viscosità e la crescita eccessiva batterica a livello di piccolo intestino. Maggiori informazioni sugli effetti dei costituenti alimentari e della sanità intestinale si trovano in Choct, 2009.

Probiotici

I probiotici vengono definiti come organismi vivi che, quando vengono consumati in quantità adeguata, conferiscono un effetto benefico all’ospite. I prodotti batterici più ampiamente usati sono i bacilli, visto che – grazie alle spore – restano stabili nella formulazioni e producono composti antibatterici, oltre che metaboliti benefici. Come esempio, si è visto di recente che specifiche spore di Bacillus producono elevate concentrazioni di niacina in vivo. La niacina è recepita dai recettori Gpr109a, che vengono attivati anche dal butirrato, e attiva risposte anti infiammatorie. A parte le specie Bacillus, vengono venduti anche altri ceppi singoli di probiotici, inclusi i lattobacilli. Sul mercato esistono anche prodotti che contengono ceppi diversi.

I prodotti di esclusione competitiva contengono miscele refrigerate a secco (liofilizzate) di contenuto intestinale che vengono immesse sul mercato. Nella letteratura scientifica i report degli effetti dei probiotici sull’infiammazione intestinale e sulle performance animali evidenziano una certa protezione verso la colonizzazione dei patogeni e le malattie; resta la domanda circa quanti studi non siano stati invece pubblicati perché inconsistenti o addirittura con effetti negativi. I dati del nostro laboratorio mostrano che l’efficacia dei probiotici dipende molto dal modello usato e non tutti gli studi mostrano risultati con effetti chiari e riproducibili. Piuttosto che sviluppare empiricamente e vendere probiotici solamente grazie al nome del loro genere, dovremmo invece ripensare l’intero sistema, sviluppando probiotici basati sulla modalità di azione. Ad esempio, basandoci sui dati sopra descritti, si potrebbero valutare ceppi che stimolano la produzione di butirrato partendo da ceppi dei cluster clostridi IV e XIVa, oppure usarli come probiotici. Questi sono però anaerobi stretti che non formano spore in modo consistente, il che rende difficile usarli per formulare prodotti, mentre invece non è un problema per le specie di Bacillus, che solitamente vengono incluse nel mangime perché producono spore resistenti al calore.

Prebiotici

I prebiotici sono definiti come alimenti funzionali, sia naturali che lavorati, che contengono composti biologicamente attivi e hanno benefici documentati sulla salute, perché influenzano l’interazione tra batteri benefici e patogeni. La maggior parte dei prebiotici è composta da oligosaccaridi, come frutto-oligosaccaridi, galato-oligosaccaridi, AXOS e oligosaccaridi xilani (XOS). I mannano-oligosaccaridi spesso non sono considerati prebiotici, perché possono non essere fermentati, ma hanno un effetto immunomodulatore diretto. I prebiotici sono molecole complesse, a causa della lunghezza della loro catena, per la natura dei legami glucosici e per la natura delle catene laterali dei saccaridi: tutto ciò può influenzarne la funzione. La letteratura scientifica riporta diversi studi in cui i prebiotici hanno effetti benefici sulle performance del pollo, sull’infiammazione e sul controllo dei patogeni.

Come per i probiotici, è difficile stimarne l’efficacia basandosi sui dati derivati dagli studi scientifici, perché prevalentemente vengono riportati gli effetti benefici, mentre effetti negativi o inefficaci vengono pubblicati raramente. In ogni caso è necessario che i prebiotici vengano convertiti in metaboliti da parte del microbiota. Visto che i prebiotici sono saccaridi, i prodotti terminali saranno SCFAs, lattato e gas, pertanto gli effetti benefici possono teoricamente essere valutati o predetti misurandone il beneficio rispetto a gruppi di batteri patogeni o metaboliti tossici. In quanto tali, i prebiotici possono aumentare la colonizzazione dei clostridi che producono il butirrato dei cluster IV e XIVa, che sono considerati benefici. Altri parametri potrebbero includere la riduzione di enterobatteriacee. Inoltre, nel caso dei prebiotici, in futuro occorrerà procedere verso uno sviluppo più scientifico, in cui il meccanismo di azione giochi un ruolo centrale, invece che sviluppare empiricamente dei prebiotici. Il nostro gruppo ha dimostrato, ad esempio,  che la somministrazione di XOS in un mangime per polli ha aumentato il numero di lattobacilli e di Clostridi cluster XIVa a livello dell’intestino distale, stimolando una cross-alimentazione di lattato, nel produrre butirrato.

Fitochimici (olii essenziali, oleoresine, etc.)

Anche i fitochimici sono additivi alimentari ben noti nell’industria avicola. I costituenti biologicamente attivi delle piante includono i terpenoidi (mono e sesquiterpeni, steroidi, etc.), fenolici (tannini), glicosidi e alcaloidi (presenti come alcoli, aldeidi, chetoni, esteri, eteri, lattoni. etc.). Molti di questi, ma non tutti, hanno proprietà antibatteriche e sono stati descritti anche effetti sulla funzione immunitaria. Secondo Adams (1999) l’attività antimicrobica è piuttosto debole per zenzero e pepe, media per cumino (p-cymene), coriandolo (lialol), origano (carvacrol), rosmarino (cineol), salvia (cineol) e timo (tymol), e forte per trifoglio (eugenol), mostarda (allisotiocianato), cannella (cinnamaldeide) e aglio (allicina). Inoltre, a determinare il successo e l’efficacia del prodotto sono anche dosaggio, purezza, metodo di estrazione dalla pianta (in caso di miscele, quindi divengono probiotici) o produzione sintetica.

È noto che gli olii essenziali antibatterici influenzano la composizione del metabolita intestinale, ma occorre chiarire quali promuovano le specie batteriche benefiche, usando studi in vivo. Le resine acide sono state studiate recentemente e sembrano alterare la matrice dell’attività delle metalloproteinasi della mucosa intestinale, che potrebbero essere assai rilevanti nel ristorare il danno intestinale. Comunque è stata dimostrata nei modelli di infiammazione intestinale la mancata regolazione delle matrici delle metalloproteine ed è facilmente coinvolta nell’alterazione della matrice extracellulare.

Acidi grassi a catena breve

Additivi che contengono SCFAs, acidi grassi a catena media e anche acidi aromatici (come acido benzoico) vengono ampiamente usati nella produzione animale somministrati in acqua di bevanda o nel mangime. Mentre l’acidificazione dell’acqua di bevanda viene effettuata prevalentemente per scopi sanitari, l’aggiunta di additivi viene fatta soprattutto per ottimizzare le performance animali e per controllare i patogeni. Risulta difficile comparare l’efficacia relativa dei prodotti in commercio, perché differiscono nella loro natura riguardo agli acidi usati (spesso si tratta di miscele), alla concentrazione e soprattutto al metodo di somministrazione (puri, con un carrier, incapsulati…). La modalità di somministrazione, in particolare, determina il sito di rilascio nell’intestino e può dunque influenzare l’effetto finale. L’acido butirrico ha un forte effetto anti infiammatorio nell’intestino. Mentre gli SCFAs sono considerati molecole in grado di dare segnali sia al microbiota che all’ospite, gli acidi grassi a catena media e gli acidi aromatici sono invece considerati degli antibatterici.

Considerazioni finali

Sono stati eseguiti sul pollo diversi esperimenti e prove di campo, usando un’ampia varietà di additivi alimentari. I parametri più frequentemente usati sono le performance, sia in condizioni di infezione che in condizioni normali; alcune prove sono state eseguite per determinare l’effetto della colonizzazione dei patogeni e le relative risposte infiammatorie. L’approccio, finora, è stato prevalentemente empirico e i prodotti vengono quindi sviluppati senza avere una chiara ragione circa gli effetti benefici attesi. Molti additivi alimentari sono formulati per prendere il posto degli AGPs e hanno attività differenti. L’unico modo per sviluppare un prodotto con un’attività migliore è paragonarlo a quelli in commercio, basandosi su una vera comprensione dell’ecosistema intestinale, del modo in cui la parete intestinale risponde al microbiota e al suo metabolismo. Identificare le componenti del microbiota diviene quindi cruciale per la salute intestinale ed è essenziale per un corretto sviluppo degli additivi che la influenzano. Ciò va fatto identificando quelli benefici e quelli che danno nocumento. Infatti, le conoscenze attuali indicano che vanno favoriti i batteri che producono il butirrato, aumentandone il numero o quantomeno mantenendolo, mentre le Enterobacteriaceae e patogeni specifici, come il C. perfringens, vanno soppressi, riducendo l’infiammazione. Esistono validi criteri di misurazione, ben noti, e capaci di correlarsi a una buona struttura morfologica dell’intestino. Quindi, studi sia recenti che prossimi, che utilizzano le tecnologie “omiche”, saranno capaci di identificare il valore di componenti e metaboliti benefici a livello intestinale e verranno correlati alle performance del pollo.

Bibliografia disponibile su richiesta

Dagli atti dell’Australian Poultry Science Symposium 2024