Allevamenti intensivi/protetti e Influenza Aviaria – Dobbiamo credere alle accuse delle associazioni animaliste?

Pietro Greppi - Consulente per l'etica in comunicazione - info@ad-just.it

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Se fosse vero anche solo l’1% di tutte le accuse che le associazioni animaliste diffondono da decenni sugli allevamenti intensivi/protetti avicoli (e non solo), ci dovremmo chiedere come mai le istituzioni europee e italiane permettano ancora la prosecuzione di tali attività. La risposta è semplice: perché le leggi che controllano le produzioni avicole sono, nella stragrande maggioranza dei casi, pienamente rispettate su tutto il territorio nazionale. 

In Italia sono molte le leggi che regolamentano l’intera filiera produttiva avicola, il benessere degli animali allevati, l’igiene degli allevamenti, la prevenzione delle malattie e la salubrità degli alimenti prodotti. Le autorità preposte al controllo (veterinari delle ASL, carabinieri del NAS) vigilano, attraverso audit, ispezioni e campionamenti, con lo scopo di garantire che le produzioni rispettino i requisiti legislativi, ovvero siano conformi al livello qualitativo, organolettico e sanitario che i legislatori europei e italiani vogliono per i consumatori. 

Gli standard europei sulla qualità degli alimenti sono i più elevati al mondo. Proprio per questo motivo, qualsiasi Paese terzo che voglia esportare prodotti alimentari nell’Unione europea deve sottostare a norme più stringenti e adottare nel proprio territorio una sorta di doppio binario produttivo. Uno dei pilastri che sostengono la nuova strategia europea sulla qualità degli alimenti From farm to fork è la tutela della salute e del benessere degli animali allevati attraverso la prevenzione delle malattie. E un capitolo importante delle leggi che regolamentano questo aspetto riguarda proprio l’Influenza Aviaria. È noto il tentativo delle associazioni animaliste di far credere che le malattie infettive che colpiscono gli avicoli domestici siano causate dagli allevamenti intensivi/protetti: la realtà ci dimostra che è vero invece l’opposto. Sono proprio tali allevamenti che, applicando opportuni piani di prevenzione ed eradicazione delle principali malattie virali, batteriche e parassitarie, riescono a garantire il più alto livello di salute degli animali, che si traduce per il consumatore in una miglior sicurezza e qualità degli alimenti. 

Al giorno d’oggi un allevatore, mettendo in atto le buone pratiche produttive strutturali e gestionali, ha la ragionevole certezza di portare alla fine del ciclo produttivo il 97-98% dei polli che ha accasato all’inizio. In passato, negli allevamenti rurali e nelle fattorie, la mortalità media degli animali era invece elevatissima, per l’impossibilità di applicare adeguate misure preventive sulle principali patologie aviarie. 

I racconti tramandati dalle generazioni che ci hanno preceduto ci restituiscono il ritratto di una società povera, nella quale le entrate delle famiglie si utilizzavano soprattutto per soddisfare i fabbisogni alimentari. A quei tempi le malattie nei volatili da cortile erano un dramma, perché lasciavano senza sostentamento intere comunità. 

L’evoluzione nel campo della genetica in avicoltura ha invece permesso alle generazioni moderne dei Paesi sviluppati di poter accedere al cibo in modo più semplice. Al giorno d’oggi la dieta degli animali è equilibrata, il loro benessere è rispettato e le malattie sono tenute sotto controllo tramite l’igiene, le vaccinazioni e soprattutto senza uso di antibiotici (al contrario di quanto sostiene chi cerca di gettare fango sull’avicoltura): nel 2021 in Italia nell’allevamento del pollo da carne è stato utilizzato il 90% in meno degli antibiotici che si somministravano nel 2011. Inoltre, grazie alla capacità produttiva e all’efficienza degli allevamenti intensivi/protetti, il prezzo dei prodotti dell’avicoltura si è mantenuto praticamente costante nell’ultimo secolo, contribuendo, insieme alla crescita dei salari medi, all’aumento del potere di acquisto e del tenore di vita nei Paesi sviluppati. 

Il Grafico 1, elaborato dal Bureau of Labor Statistics (USA), abbraccia l’arco temporale di poco più di un secolo e mette in evidenza la quantità prodotti di origine animale acquistabili con il ricavato di un’ora di lavoro di un salario medio. Tale quantità è aumentata esponenzialmente da quando questi alimenti sono prodotti in allevamenti intensivi/protetti e, tra quelli analizzati, le uova sono l’alimento di gran lunga più economico e nutriente.

Nei Paesi in via di sviluppo, dove gli allevamenti protetti non sono ancora diffusi, le carenze alimentari descritte nel XIX secolo sono purtroppo ancora in parte presenti. Per questo motivo la FAO nel 2019 ha stipulato un accordo con l’International Poultry Council, associazione che rappresenta il 95% dei produttori avicoli a livello globale, per diffondere nel mondo sempre più produzioni avicole sostenibili, in grado di soddisfare i fabbisogni nutritivi della popolazione mondiale in crescita. Le accuse di diffusione di epidemie rivolte all’avicoltura intensiva dalle associazioni animaliste sono quindi smentite dai fatti. È inoltre scientificamente provato che le cause dell’Influenza Aviaria sono da attribuire ai flussi migratori degli uccelli selvatici. 

I 15 milioni di animali abbattuti agli inizi del 2022 per mantenere il controllo su questa epidemia in Italia sono poca cosa se rapportati alla produzione annuale avicola italiana (15 milioni rappresentano meno del 2% del totale in Italia). Le epidemie del passato negli allevamenti rurali spesso arrivavano ad uccidere tutti gli animali allevati.

Attualmente, i prodotti avicoli di nicchia, le produzioni biologiche o a lenta crescita, che monopolizzano la comunicazione nei programmi televisivi, hanno prezzi elevati e possono soddisfare i consumatori che non hanno problemi di natura economica, ma siamo tutti profondamente consapevoli del dovere morale di riuscire ad alimentare, con alimenti sani, nutrienti e a basso costo, anche quella parte della società che con fatica riesce a far quadrare il bilancio mensile. 

Lo straordinario risultato di disporre di alimenti di alta qualità a prezzi accessibili a tutti si ottiene solo ed esclusivamente grazie all’efficienza produttiva degli allevamenti intensivi/protetti, che per questo motivo sono anche più sostenibili: gli studi effettuati dal Global Livestock Environmental Assessment Model (GLEAM) della FAO, che si occupa di analizzare l’impatto ambientale delle produzioni zootecniche, hanno dimostrato che a parità di quantità di alimento prodotto, gli allevamenti avicoli intensivi/protetti, grazie alla grande efficienza produttiva raggiunta, inquinano di meno e la loro produzione di gas a effetto serra, già ridotta all’1% del totale, è in continua riduzione.

In avicoltura i metodi di allevamento estensivi, all’aperto e a lenta crescita, convivono fianco a fianco già da decenni con le produzioni intensive/protette e non sono in antitesi. I primi hanno prezzi di vendita più elevati e si rivolgono al consumatore di fascia alta (per capacità di spesa), mentre i secondi soddisfano i bisogni alimentari della parte meno abbiente della popolazione che rappresenta quella maggioritaria. La differenza fra questi due tipi di allevamenti è un po’ come quella che passa tra i sentieri di montagna e le autostrade: i primi sono belli da vedere, ma per trasportare merci e far progredire l’economia di una nazione, non possiamo prescindere dalle seconde. Per migliorare la qualità di vita delle future generazioni, la soluzione non sarà quella di eliminare le autostrade, ma piuttosto quella di minimizzare il loro impatto con interventi migliorativi.

Le associazioni animaliste raggiungono facilmente l’obiettivo di screditare un importante settore produttivo anche perché si è creata una grande distanza tra il consumatore medio e il mondo allevatoriale. Gli studi demoscopici dell’Unione europea evidenziano che la maggioranza dei cittadini è convinta che negli allevamenti gli animali siano maltrattati, pur non essendo mai entrata in un allevamento.

Se visitassimo un allevamento intensivo di ultima generazione, potremmo verificare che, grazie alle nuove tecnologie, non produce odori, non emette polveri e con i metodi di essiccazione della pollina non favorisce la proliferazione di mosche o altri insetti. Le deiezioni vengono sempre più utilizzate per la produzione di biogas, senza quindi contribuire all’inquinamento delle falde acquifere e ai fenomeni di eutrofizzazione. Inoltre l’impatto visivo ambientale dei nuovi allevamenti è fortemente ridotto con la piantumazione di barriere vegetali. È arrivato quindi il momento di approfondire meglio la conoscenza degli allevamenti intensivi/protetti per avere una visione corretta e completa sulla loro attività, sulla loro funzione sociale e vitale e per non cedere spazio alla disinformazione proveniente da chi diffonde notizie distorte e in modo strumentale.