Antibiotico-resistenza: cos’è e come contrastarla

168

L’antibiotico-resistenza è fenomeno naturale che consente ai batteri di sviluppare resistenza a uno o più antibiotici e che può avvenire anche verso altri principi attivi (antivirali, antifungini, antiparassitari ecc.); è proprio questa resistenza il motivo di maggior preoccupazione di medici e veterinari.

Si calcola che in Europa circa 50.000 persone muoiano a causa delle infezioni da batteri resistenti agli antibiotici. Ovviamente ciò comporta anche conseguenze economiche con spese stimate in cure e degenze, a livello globale, sui 20-30 miliardi di euro/anno.

In natura i batteri si attrezzano per resistere agli antimicrobici che vengono prodotti da altri ceppi batterici, contrastandoli e combattendoli; a questi l’uomo ha aggiunto nuove molecole di sintesi. Gli antimicrobici sono dunque già presenti nel nostro ecosistema così come i meccanismi di resistenza batterici nei loro confronti. I batteri sono anche capaci di trasmettere questa resistenza ad altri batteri, il che amplia la gamma di ceppi resistenti e crea nuovi batteri multiresistenti, cioè resistenti verso vari antibiotici simultaneamente, detti superbugs.

Nell’uomo sono stati isolati molti ceppi pericolosi, dotati di resistenza e il loro numero va aumentando: si tratta di Klebsiella, E. Coli, Pseudomonas, Strepto e Stafilococchi ecc. Preoccupa in particolare la resistenza degli Enterobatteri verso i Carbapenemi.

Un problema globale

In veterinaria viene impiegato almeno il 50% degli antibiotici usati a livello mondiale e ciò aumenta il rischio di creare ceppi resistenti in grado di passare all’uomo per contatto diretto o tramite i prodotti alimentari derivati dagli animali. Le resistenze sono pericolose anche per gli animali, come si desume dalle Salmonelle e da E. coli riscontrate negli ultimi anni; i Campylobacter isolati dai polli da carne rappresentato una fonte di preoccupazione per le resistenze sviluppate verso le Cefalosporine e la Colistina, ma anche verso i fluorochinoloni. Per tale ragione tutti gli organismi internazionali, come OMS e FAO, hanno intrapreso iniziative e creato task force apposite per affrontare il problema a livello globale. Si è deciso di comprendere tutti i settori interessati dal problema, sia umano che veterinario, con un approccio olistico teso a considerare il concetto One Health come bene comune da preservare, senza barriere tra discipline diverse. Alla luce della recente epidemia da Coronavirus appare infatti sempre più chiaro come la sanità umana e animale siano strettamente connesse e come le problematiche comuni vadano affrontate insieme.

Le misure da intraprendere verso l’antibiotico-resistenza richiedono un uso più corretto dei farmaci disponibili, lo sviluppo di nuove molecole, una buona biosicurezza: tutti fattori indispensabili per limitare l’ingresso e diffusione delle malattie infettive. Per fare ciò occorre una rete di sorveglianza che valuti le tendenze dell’antibiotico-resistenza e rilevi eventuali nuove resistenze, oltre che l’efficacia delle azioni messe in atto in campo.

Proprio per questa ragione, in Italia si è attuato un piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza che nel settore veterinario, oltre alla sorveglianza dei fenomeni di resistenza e dei loro meccanismi, tende a sviluppare metodiche di cura alternative agli antibiotici, anche tramite un approccio integrato che riguarda tutti gli aspetti dell’allevamento. Sostanzialmente, sia veterinari che allevatori devono usare in modo più corretto e consapevole gli antimicrobici.

Varie normative comunitarie prevedono il monitoraggio di patogeni come E. Coli, Salmonella e altri patogeni in campo avicolo, sia in allevamento che in macello, eseguendo test di resistenza sui ceppi isolati.

Le filiere, come quella avicola, stanno notevolmente implementando il loro approccio e hanno diminuito sostanzialmente il consumo di antibiotici in campo. Ciò viene facilitato dalla recente introduzione della ricetta veterinaria che consente agli organismi di controllo una notevole facilitazione nella valutazione delle molecole usate, della loro quantità e durata delle terapie.

La parola d’ordine: uso prudente degli antibiotici, sia per medici che veterinari

In generale l’adozione di queste misure si rivolge non solo alla riduzione del consumo di tutti gli antibiotici, ma soprattutto ad alcune categorie particolari come i fluorochinoloni: si pensi che oggi si calcolano i mg di sostanza attiva usati per kg di biomassa prodotta/anno, in modo da avere una valutazione precisa del singolo allevamento e dell’utilizzo di farmaco per quella tipologia produttiva.

In ambito veterinario la sorveglianza è particolarmente importante e monitora l’andamento epidemiologico dei batteri resistenti. Salmonella, Campylobacter, E. Coli ecc. vengono controllati su campioni sia ufficiali che di autocontrollo, effettuati regolarmente su animali e prodotti da essi derivati. I risultati sono ovviamente confrontati con quelli umani per valutare eventuali correlazioni e nuovi fenomeni di insorgenza. I batteri resistenti sono quindi oggi considerati alla stregua di batteri patogeni causa di malattie infettive e le misure intraprese nei loro confronti sono equivalenti.

Fondamentale è la sorveglianza dei consumi di antibiotico nel settore veterinario che controlla tutta la filiera: produzione, commercializzazione, ricettazione e vendita, valutando la congruità dell’uso in allevamento. I dati sono poi usati anche a livello europeo, dove si connettono le risultanze dei vari Paesi.

L’Italia, negli anni scorsi, insieme a Spagna e Cipro è stata tra i maggiori consumatori di antibiotici veterinari, ma recentemente alcune filiere, soprattutto quella avicola, hanno mostrato notevoli miglioramenti, con riduzioni di oltre il 60% dei principi attivi usati, sia come quantità che come durata delle terapie. Anche il consumatore sostiene questa scelta, poiché è sempre più orientato a richiedere e acquistare carni prodotte senza antibiotico (antibiotic-free).

La valutazione in campo viene effettuata tramite ricerca delle molecole antibiotiche su animali, acqua, mangime e prodotti da essi derivati (carne, uova, latte, miele, ecc.). I dati valutano se i limiti stabiliti siano o meno stati rispettati tramite uno specifico piano nazionale residui, effettuato con prelievo di campioni su tutta la produzione, sia animale che alimentare, e che è risultato in un livello bassissimo di non conformità (0,1% dei campioni effettuati).

Come prevenire le infezioni da organismi resistenti?

La prevenzione gioca un ruolo fondamentale e viene attuata a livello centrale, regionale e locale, da tutti gli attori del controllo. In particolare i veterinari operanti nel settore avicolo, sia pubblici che privati, sono impegnati nella lotta alle zoonosi.

Le recenti normative sulla biosicurezza che hanno imposto standard stringenti sulla limitazione degli ingressi di persone, animali e attrezzature negli allevamenti per diminuire il rischio di introduzione di malattie, sono fondamentali per raggiungere lo scopo, e al contempo, assicurano una maggiore salute degli animali, migliorandone anche lo stato di benessere.

Importante ricordare come la biosicurezza adottata negli allevamenti, prima di tutto in campo avicolo, si basi sui medesimi concetti di limitazione dei contatti, igiene di mani e vestiario, separazione tra pulito e sporco, che sono stati adottati anche in medicina umana in occasione dell’emergenza sanitaria da COVID-19.

Sono state quindi elaborate delle linee guida specifiche per ciascun settore produttivo, adottate dalla produzione, per giungere a un uso corretto degli antibiotici in campo. D’altronde, gli antibiotici non vanno sempre considerati come pericolosi, anzi hanno contribuito a migliorare la salute umana e animale in maniera significativa dalla metà del secolo scorso; il loro utilizzo va tuttavia decisamente ottimizzato, sia da parte dei medici che dei veterinari al fine di non solo di prevenire l’insorgere delle resistenze, ma anche per mantenerne l’efficacia terapeutica. In tal modo si protegge anche la salute del consumatore, evitando la presenza di residui indesiderati negli alimenti di origine animale.

Che indicatori usare per i veterinari?

Innanzitutto l’antibiotico deve essere prescritto esclusivamente da un veterinario, dopo un’accurata visita clinica e relativa diagnosi. Tale intervento è ovviamente integrato con altre modalità operative quali vaccinazioni, miglioramento dell’ambiente e dello stato igienico dell’allevamento, buone pratiche, cioè tutte azioni tese a prevenire l’insorgere di infezioni. Il ruolo del veterinario nella filiera zootecnica diventa evidente: in questo modo si evita l’uso indiscriminato e routinario di molecole attive, tanto frequente nel passato. Oggi quel sistema produttivo sarebbe insostenibile.

L’antibiotico va dunque impiegato solo per reali necessità e su soggetti clinicamente malati, a fini esclusivamente terapeutici, preferendo molecole a spettro più stretto e a maggiore efficacia verso l’agente eziologico. Si deve inoltre evitarne l’uso prolungato, ripetuto o empirico: ideale è effettuare l’intervento terapeutico solo dopo avere avuto il risultato di un antibiogramma, che consente di mirare nel modo più opportuno la terapia specifica.

La somministrazione di mangimi medicati è diventata un aspetto critico nell’uso dell’antibiotico in allevamento, ed è sottoposta ora a severe limitazioni. La costante presenza di antibiotici nel mangime medicato e, in particolare, la possibilità di sottodosaggio dovuto a errori di formulazione o da contaminazioni crociate portate dietro da altre partite, ha favorito l’insorgere di resistenze. Un altro aspetto importante da considerare è l’utilizzo corretto dei CIA’s, ovvero di molecole critiche in medicina umana, che vanno evitate dal veterinario per limitare l’insorgere di ceppi resistenti.

Oggi tutta la filiera è strettamente controllata, dalla biosicurezza e gestione degli allevamenti al miglioramento degli standard di benessere animale, fino alla corretta detenzione e somministrazione delle molecole: solo così si diminuiscono le resistenze. Si cercherà sempre più, tramite la prevenzione, di evitare l’ingresso di malattie, e quindi il successivo uso di terapie. Tale approccio è ovviamente multidisciplinare, perché oltre al veterinario richiede la collaborazione di tutti gli attori della filiera. Il veterinario curante dovrà formare gli allevatori sulla corretta gestione, assicurando al contempo che l’uso degli antibiotici segua la prescrizione in termini di dosaggio e di durata, avendo anche la responsabilità della corretta registrazione dei trattamenti effettuati.

Nel frattempo, la ricerca sul fenomeno dell’antibiotico-resistenza è in costante evoluzione e non studia solo i batteri resistenti, ma anche come essi si diffondano, valutando la maniera per limitarli basandosi su evidenze scientifiche. Tutta la comunità scientifica, sia europea che mondiale, collabora per contrastare questo grave problema, cercando soluzioni che siano valide per le agenzie governative, per le filiere produttive e per il consumatore finale.