L’apporto di nucleotidi nell’alimentazione favorisce la prevenzione della disbiosi intestinale e prevenendo l’enterite crea le premesse per ottenere ottimi indici di conversione insieme a un’elevata longevità produttiva.
Per decenni bacitracina, lincomicina, avoparcina, virginiamicina, tilosina e avilomicina hanno permesso di controllare l’enterite necrotica; successivamente le normative nate per ottenere la riduzione degli antibiotici promotori di crescita e degli anticoccidici e ionofori, hanno portato a una recrudescenza di questa malattia.
L’agente eziologico dell’enterite necrotica è il Clostridium Perfrigens, batterio gram-positivo, ubiquitario, anaerobio e sporigeno. Le spore consentono al Clostridium Perfrigens di sopravvivere nei locali d’allevamento per lungo tempo, permettendo la trasmissione a cicli produttivi successivi, rendendo impossibile evitare il contatto tra gli animali e il batterio.
I ceppi di Clostridium Perfrigens variano in virulenza e capacità di causare la malattia, i ceppi patogeni sono in grado di produrre tossine, batteriocine e enzimi idrolitici che consentono loro di aderire, formare biofilm e colonizzare l’intestino.
Il decorso dell’enterite necrotica può manifestarsi sia in forma clinica che subclinica, la malattia può esordire tra le 2 e le 4 settimane di età: la fase clinicamente manifesta è breve e caratterizzata da depressione, penne arruffate, atassia locomotoria, diarrea, morte in poche ore, con un tasso di mortalità che può raggiungere l’1% al giorno.
La forma subclinica è sicuramente economicamente più dannosa, in quanto può persistere inosservata – e quindi non trattata – con un impatto negativo sull’indice di conversione e sull’uniformità del gruppo.
Sebbene sia ampiamente dimostrato che i ceppi patogeni possono alterare la normale microflora intestinale, sostituendosi ai clostridi commensali (non patogeni), per scatenare un’enterite necrotica la sola presenza del Clostridium Perfrigens non è però sufficiente: è indispensabile, infatti, che la parete intestinale presenti già dei danni, poiché questo clostridio produce l’alfa-tossina, una fosfolipasi, enzima mucolitico, che gli permette di nutrirsi di muco. Se a monte della replicazione del clostridio sussiste un evento che provoca l’aumento della secrezione di muco, l’intestino lesionato produce linfociti T, citochine, interferone e interluchine che vanno ad agire sulle cellule caliciformi mucipare dell’epitelio intestinale, attivandole e incrementando la secrezione di muco, rendendo così possibile la proliferazione del Clostridium Perfrigens.
La coccidiosi
Gli agenti capaci di arrecare danni alla mucosa intestinale sono numerosi: virus enterici, elminti, micotossine, ammine biogene, rancidità del grasso, stress, ma la patologia più diffusa è la coccidiosi del duodeno e del digiuno, provocata da Eimeria maxima ed Eimeria acervulina, che causano con maggior frequenza danni all’intestino dei broiler.
La coccidiosi può manifestarsi a causa dell’aumento della resistenza ai coccidiostatici oppure in seguito all’utilizzo di vaccini vivi contro la coccidiosi: questi vaccini sono composti da specie di Eimeria non attenuate o poco attenuate, che devono invadere la mucosa intestinale e moltiplicarsi, ma che per provocare un’immunità solida hanno bisogno di tre cicli di infezione consecutivi, rischiando di provocare un danno epiteliale.
Per controllare la coccidiosi e ridurre l’incidenza dell’enterite necrotica è necessaria una corretta rotazione dei farmaci anticoccidici, per preservarne l’efficacia. Intervenire con la rotazione tra farmaci e vaccinazione, in base ai livelli di rischio e all’incidenza stagionale, insieme a una corretta gestione della pulcinaia, per promuovere un’adeguata ciclizzazione delle oocisti, è fondamentale per evitare effetti avversi e predisporre l’allevamento alla manifestazione dell’enterite necrotica.
La capacità di alcuni polifenoli, associati a estratti vegetali e a sali minerali, si sono dimostrati efficaci nel ridurre la carica batterica della lettiera dopo l’escrezione fecale: questo potrebbe essere uno strumento prezioso per ridurre la probabilità di reinfezione da Clostridium perfrigens. Per prevenire le alterazioni che possono predisporre gli animali al’enterite necrotica si è diffuso l’impiego di probiotici per bilanciare la microflora intestinale: è stato infatti dimostrato come alcuni ceppi di lattobacilli – sia usati da soli che insieme ad acidi organici (formico, propionico e butirrico) per potenziare il loro effetto – riducono la gravità delle lesioni da enterite emorragica e la conseguente mortalità.
Altri prodotti alternativi, quali i MOS o beta-glucani, hanno dimostrato la capacità di ridurre la gravità delle lesioni causate dall’enterite necrotica grazie ai loro effetti antinfiammatori, perché favoriscono la secrezione di immunoglobuline e la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA). Occorre ricordare che il Clostridium perfrigens, come altri patogeni enterici, è un microrganismo altamente adattabile, pertanto è necessario utilizzare questi prodotti in modo equilibrato perché potrebbero manifestarsi fenomeni di resistenza.
L’utilizzo di nucleotidi
Una nuova promettente opportunità è rappresentata dall’impiego dei nucleotidi.
Il termine nucleotide descrive una sostanza costituita da uno zucchero, un gruppo fosfato e una base azotata; le basi sono purine e pirimidine, lo zucchero è il ribosio o il desossiribosio. Nel suo insieme il nucleotide rappresenta l’unità con la quale si forma l’RNA e il DNA; inoltre i nucleotidi sono anche i costituenti delle molecole quali ATP, NADP e NADH, responsabili di trasferire l’energia prodotta dal metabolismo di carboidrati, lipidi e proteine.
In quanto sintetizzabili dall’organismo animale, i nucleotidi non sono considerati un alimento essenziale ma lo diventano in caso di una sintesi insufficiente, durante la crescita e in presenza di patologie. In particolare alcuni tessuti a rapido turn-over, come quelli della mucosa intestinale, non sono in grado di produrre quantità sufficienti di nucleotidi tali da coprire i loro fabbisogni. È stato dimostrato che i nucleotidi apportati con l’alimentazione agiscono come fattore di crescita sulle cellule intestinali, promuovendone la differenziazione e la maturazione, con conseguente maggior spessore della mucosa intestinale, con allungamento dei villi e della profondità delle cripte. Diversi studi hanno dimostrato che l’apporto di nucleotidi con l’alimentazione favorisce l’incremento dell’attività degli enzimi digestivi e promuove la crescita dei Lattobacilli e dei Bifidobatteri, a scapito dei batteri Gram-negativi quali Escherichia coli. Il favorevole effetto dei nucleotidi su Lattobacilli e Bifido-batteri si pensa sia dovuto all’aumento dell’assorbimento di oligoelementi in forma ionica, da parte degli enterobatteri.
L’apporto di nucleotidi si è inoltre dimostrato molto utile nel recupero clinico e funzionale delle affezioni epatiche: questo accade perché essi promuovono l’attività dell’epatocida, attraverso la stimolazione mitocondriale atta a stimolare la produzione di sirtuine, accelerando la sintesi proteica e il deposito di glucosio, impedendo in questo modo l’accumulo di colesterolo e altri lipidi e riducendo il rischio di steatosi epatica. In tal modo essi esercitano un’azione estremamente favorevole all’allungamento della vita produttiva degli animali, in particolare della gallina ovaiola.
Se è vero che i nucleotidi non sono considerati essenziali perché possono essere sintetizzati da sostanze semplici, è altrettanto vero, tuttavia, che in alcuni momenti i processi metabolici di sintesi possono non essere in grado di soddisfarne il fabbisogno: ciò accade, per esempio, durante i periodi di rapido ricambio cellulare, come il normale processo di accrescimento del pulcino, che nei primi sette giorni di vita (di cui i primi tre definiscono gran parte delle sue prestazioni successive) cresce di circa il quadruplo. Sebbene la natura fornisca al pulcino le sostanze nutritive attraverso il residuo del sacco vitellino, questa riserva alimentare ha solo il fine di evitare che il pulcino muoia di fame, ma è assolutamente insufficiente per affrontare le difficoltà e lo stress dei primissimi giorni di vita.
Poter disporre di una fonte di nucleotidi solubili derivati dall’estrazione di lieviti permette la somministrazione sia in acqua d’abbeverata, che nel mangime, fin dalle primissime ore di vita e consente al pulcino di raggiungere il suo massimo potenziale di crescita, attraverso un corretto accrescimento dell’apparato enterico e del suo corretto microbiota.
I vantaggi si evidenziano subito, riscontrando una minor collosità delle feci nei primi giorni di vita, con ridotta incidenza di bottoncini anali. Anche la lettiera risulterà più asciutta nei primi giorni, evidenziando una netta riduzione della pododermatite (FPD, Foot pad dermatitis), inoltre la crescita evidenzierà un’omogeneità del gruppo con un migliore indice di conversione.
I vantaggi finora elencati sono particolarmente evidenti nei broiler, mentre nell’allevamento di animali a lunga vita, come la gallina ovaiola, i vantaggi deriveranno da un maggior benessere intestinale, dal ripristino dell’attività epatica e dalla capacità dei nucleotidi, una volta entrati in una cellula, di dare origine al NAD (nicotinammide adenina dinucleotide, molecola indispensabile per l’attività di più di 500 enzimi, tra cui le sirtuine, la cui carenza è la causa dell’invecchiamento). Tutto questo si tradurrà in un miglior indice di conversione, una minore percentuale di uova sporche, una riduzione della fragilità del guscio e il prolungamento dell’attività produttiva.
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