Pseudopeste aviare, ultimi aggiornamenti

Luigi Montella - Medico veterinario

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In questo articolo viene riassunto l’intervento che Guillermo Zavala ha tenuto al XXII Congresso della World Veterinary Poultry Association del 2023, in cui ha fornito una interessante analisi della malattia di Newcastle.

La malattia di Newcastle, o pseudopeste aviare, è una delle malattie più gravi, anche dal punto di vista economico, delle specie aviarie ed è causata da un paramyxovirus tipo1. Storicamente i ceppi, in base alla patogenicità o tropismo, erano classificati come lentogeni, mesogeni, velogeni, neuro o viscerotropi ecc. Oggi la malattia viene considerata, usando l’indice di patogenicità intracerebrale (ICPI) come virulenta (vNDV) o poco virulenta (loNDV). La virulenza è data dalla presenza di diversi amminoacidi basici nel punto di fusione del clivaggio delle proteina, oltre alla presenza di residui di fenilalanina in posizione 117. Pertanto è utilissimo eseguire il sequenziamento dei ceppi virali isolati, onde stabilirne la patogenicità e i conseguenti provvedimenti profilattici.

Da oltre un secolo i veterinari conoscono la malattia, diffusa a livello globale, che si manifesta da asintomatica a gravissima, con mortalità fino al 100% dell’effettivo. È economicamente importante e altamente diffusibile, tanto da comportare restrizioni al commercio e all’esportazione sia di avicoli vivi che dei loro prodotti. La WOAH (ex OIE), viene costantemente informata circa la presenza di focolai nei diversi Paesi, che hanno l’obbligo di denunciarla.

Nonostante la vaccinazione e le pratiche di biosicurezza, la malattia di Newcastle colpisce ancora gli allevamenti, in particolare in Paesi terzi. Sono circa 250 le specie avicole sensibili alla malattia, che può dunque trasmettersi con facilità dai selvatici agli allevamenti commerciali: da qui diventa facile poi entrare nel circuito e diffondersi ad altri allevamenti. Soggetti vivi, soggetti morti, materiale organico e attrezzatura contaminata, sono tutti in grado di diffondere il virus, pertanto va costantemente implementato il controllo dei selvatici quali agenti primari di infezione.

Ovviamente la struttura dell’allevamento deve essere adeguata a garantire una valida prevenzione, ma anche in presenza di una costruzione idonea le notevoli dimensioni di alcuni allevamenti rendono difficile il contenimento della malattia. Nel caso di allevamenti molto grandi di broiler, ad esempio, diventa quasi impossibile lo svuotamento contemporaneo e quindi anche il vuoto sanitario a fine ciclo risulta insufficiente. È evidente che ogni ingresso per il carico del macello rappresenta una rottura della catena di biosicurezza, favorendo l’ingresso del patogeno.

Nell’allevamento delle ovaiole invece un punto critico è costituito dalla pollina: la sua regolare rimozione, qualsiasi sia il sistema adottato (nastro o fossa profonda), viene eseguita da mezzi che probabilmente hanno lavorato anche in altri allevamenti e che possono pertanto fungere da diffusori. Lo stesso problema si nota nella rimozione delle carcasse, effettuata da mezzi che fanno tappa in diversi allevamenti. Infine, bisogna ricordare la necessità di rendere i capannoni sigillati nei confronti sia di altri avicoli selvatici che di roditori.

La biosicurezza rappresenta dunque il metodo più efficace per combattere la malattia: i suoi principi vanno applicati dappertutto, ovviamente adattandoli alle specifiche situazioni. Infatti, un valido protocollo di biosicurezza nei confronti della salmonella, non necessariamente lo è anche verso la malattia di Newcastle: per questo è necessario fare attenzione alle diverse misure adottate, ricordando che la formazione costante del personale è la chiave di volta del successo della prevenzione. Molto spesso, infatti, l’industria avicola assiste a un frequente turn-over del personale, che va dunque sempre nuovamente formato.

A rischio sono anche alcune pratiche commerciali: ad esempio, lo sfoltimento nel broiler rappresenta un classico caso di trasmissione della malattia di Newcastle. Nelle ovaiole, invece, è stata spesso causa fonte di infezioni la pratica di vendere uova o galline a fine ciclo a chiunque desideri entrare in allevamento. Come per altre malattie avicole, anche l’allevamento rurale rappresenta una vera e propria riserva virale per gli allevamenti commerciali.

La vaccinazione viene eseguita con buoni risultati ormai da decenni, usando principalmente vaccini attenuati o ricombinanti, come pure inattivati. Spesso la protezione è buona, soprattutto se si combinano diversi vaccini, secondo una specifica strategia vaccinale. I vaccini attenuati generano la risposta di Th1 e Th2, e successivamente quelli inattivati stimolano la risposta delle igG. I ricombinanti sono i più recenti, e, mentre i primi usavano sia Pox virus che HVT quali vettori, recentemente se ne sono sviluppati alcuni in grado di dare protezione anche verso la malattia di Gumboro e la laringotracheite, grazie all’inserimento di diverse proteine immunogeniche. La risposta anticorpale generata è buona, ma ancora non è ben chiaro quale sia il meccanismo che la induce. Pertanto , la vaccinazione va considerata quale strumento strettamente associato alla biosicurezza, per limitare e prevenire la malattia di Newcastle.

Una volta che la malattia entra nell’allevamento, se in forma grave, vengono adottate, come accade per l’Influenza Aviaria, le misure di stamping out, a volte sostenute da una compensazione per l’allevatore. Naturalmente, in Paesi in cui la malattia è enzootica, difficilmente si riesce a limitarla con questa pratica: si suggerisce quindi, per il futuro, di migliorare la pianificazione degli allevamenti, al fine di implementare la biosicurezza, associandola a una vaccinazione specifica e realizzata in maniera adeguata, tale cioè da ottenere una valida risposta anticorpale in almeno l’88% del gruppo, diminuendo, al contempo, i fattori di rischio sopra elencati.